Anche questo 4 novembre ci ritroveremo circondati dalle celebrazioni muscolari della forza militare italiana, tra fanfare e parate di mezzi corazzati. Anche quest’anno i militari saranno osannati come grandi eroi della patria e, in un ribaltamento totale della realtà, indicati come l’unica via per il raggiungimento della pace. Anche quest’anno la retorica bellica nazionalista proverà a convincerci che i militari inviati in Iraq e Afganistan ieri, in Libano oggi e a Gaza forse domani, non sono andati in guerra, ma in “missioni di pace”. Una pace coloniale, costruita su tonnellate di macerie e centinaia di migliaia di cadaveri, nella totale impunità di criminali di guerra come Blair, Bush e Netanyahu.
Fortunatamente anche quest’anno il movimento contro l’occupazione militare della Sardegna e soprattutto il grande movimento popolare di solidarietà nei confronti del Popolo Palestinese non cascheranno in questo vecchio giochetto. Le piazze per la Palestina che da ormai due mesi affollano le nostre città e i nostri paesi sanno bene che la pace non si costruisce con la forza e con le armi (e gli eserciti) occidentali. Sanno che lo stato italiano ha interessi economici da difendere (o conquistare): vedi ENI e WeBuild; alleanze militari imposte dall’alto da rispettare: vedi NATO; industrie “strategiche” da difendere: vedi LEONARDO. Le piazze auto organizzate che hanno superato le grandi organizzazioni partitiche e sindacali sanno anche che la pace non nascerà certo dall’alto grazie ai patti mafiosi di Trump, ma si costruisce tutti i giorni dal basso. Qua in Sardegna la pace si costruisce chiudendo le basi militari dove si preparano le guerre e il genocidio palestinese per mano dell’Israel Defence Force, che qui è di casa a Decimo, come lo è stata per anni a Capo Frasca e Quirra. Si costruisce bloccando gli accordi di ricerca tra università sarde e israeliane. Si costruisce chiudendo la fabbrica di bombe RWM di Domusnovas che produce i droni israeliani. Si costruisce dicendo un forte NO alla sua espansione, decisione che ora è in mano a una Regione governata da forze che a parole si dicono contro il genocidio, e speriamo che ai gesti simbolici ne segua ora uno effettivo e reale.
La pace si costruisce banalmente smettendo di vendere armi a Israele, oltre che isolandola diplomaticamente ed economicamente. Liberandoci della filiera bellica sarda e del suo conseguente sottosviluppo contribuiremo alla liberazione della Palestina e di tutti gli altri popoli oppressi dall’occidente, oltre che alla nostra.
Ma ad essere liberate devono essere prima di tutto le nostre menti. Liberiamoci dalla narrazione dominante che celebra ogni anno la forza e l’onore militare, la stessa che chiama eroi i militari morti durante le missioni coloniali in Medio Oriente. Ad ammazzare i militari sardi e italiani a Nassirya non sono state le forze locali di resistenza irachena, ma gli interessi politici e industriali italiani che li hanno mandati in un posto in cui non dovevano essere. Esattamente come i sardi mandati sul fronte austriaco nella prima guerra mondiale non sono morti per l’italia, ma per la sua borghesia industriale. Ora, come cento anni fa, l’Europa tutta si sta riarmando, e il motivo è sempre lo stesso: dar fiato a un complesso industriale in crisi, la cui unica via d’uscita paventata è la riconversione bellica, e soprattutto a una classe dirigente priva di una direzione politica, incapace di dare risposte a qualsiasi esigenza sociale, in cerca di un nemico per compensare la sua crescente mancanza di legittimità democratica.
La narrazione bellica e l’aria di guerra stanno ormai invadendo tutta la società, a partire dalla scuola. Il Ministero dell’istruzione, mentre spinge sempre più i programmi di propaganda e arruolamento interni agli orari curricolari degli istituti scolastici, ha infatti appena annullato la formazione per docenti “4 novembre, la scuola non si arruola”, tentando di delegittimare l’esercizio della critica alla deriva in atto da parte del personale scolastico. Anche per questo il 4 novembre dobbiamo stringerci vicini a tutti i docenti e gli studenti che si oppongono a tutto ciò.
Per tutte queste ragioni invitiamo a disertare e boicottare tutte le manifestazioni militari del 4 di novembre e invece partecipare alle piazze che resistono, per la Palestina e per una Sardegna e una scuola libere dalla narrazione bellica dominante.
A FORAS!

