Come ogni autunno, dagli uffici marittimi delle capitanerie di porto cominciano a fioccare gli ordini di evacuazione delle zone a mare in prossimità dei poligoni sardi.
Un altro anno in cui si dissemineranno aria, acqua e suolo di contaminanti che silenziosamente ammazzano ecosistemi e persone.
Un altro anno in cui senza autorizzazione ambientale si continuerà a svolgere attività inquinanti e distruttive in prossimità o dentro zone protette.
Un altro anno in cui si perpetuerà la marginalità e la disperazione di comunità prive di sbocchi economici che non siano la servitù e l’assistenzialismo militare.
Un altro anno in cui si coltiveranno i rapporti criminali tra assassini che caratterizzano il mercato internazionale delle armi e dei sistemi di sorveglianza.
Un altro anno in cui si addestreranno gli eserciti di mezzo mondo a perpetuare un sistema di violenza e sopraffazione su scala globale.
Un altro anno in cui si addestreranno le forze armate italiane a operare contro la loro stessa cittadinanza, con sistemi di sorveglianza e tecniche di repressione del dissenso sempre più sofisticati.
Quando chiudiamo gli occhi dinnanzi a questo orrore, sopraffatti dalla sua enormità, assuefatti dalla sua riproduzione quotidiana, ricordiamoci che questa è la macchina che rende possibile il genocidio.
Palestina, Sudan, Myanmar, Ucraina, Libia, Repubblica Democratica del Congo, Kurdistan…
I fili che uniscono gli orrori del genocidio e della guerra all’occupazione militare della Sardegna sono infiniti, passano dalle complicità politiche dello stato italiano, dagli accordi di collaborazione delle forze armate, dai rapporti di affari del complesso militare industriale, dalla compromissione degli ambiti della ricerca scientifica e tecnologica con l’industria bellica.
I poligoni militari sardi sono un perno di questo sistema di morte. Dai poligoni militari, questo sistema si estende all’economia, all’istruzione, alla ricerca, alla società tutta, come un tumore, nel tentativo di legittimare un sistema che si fonda sull’assassinio, la minaccia, la prepotenza, il disconoscimento totale dei principi democratici.
Combattere contro l’occupazione militare della Sardegna è combattere contro la macchina del genocidio odierno e di quelli venturi. È una responsabilità storica che ci tocca in prima persona.
Mobilitiamoci!

