Ribaltiamo il 4 novembre e la finta pace!


Anche questo 4 novembre ci ritroveremo circondati dalle celebrazioni muscolari della forza militare italiana, tra fanfare e parate di mezzi corazzati. Anche quest’anno i militari saranno osannati come grandi eroi della patria e, in un ribaltamento totale della realtà, indicati come l’unica via per il raggiungimento della pace. Anche quest’anno la retorica bellica nazionalista proverà a convincerci che i militari inviati in Iraq e Afganistan ieri, in Libano oggi e a Gaza forse domani, non sono andati in guerra, ma in “missioni di pace”. Una pace coloniale, costruita su tonnellate di macerie e centinaia di migliaia di cadaveri, nella totale impunità di criminali di guerra come Blair, Bush e Netanyahu.


Fortunatamente anche quest’anno il movimento contro l’occupazione militare della Sardegna e soprattutto il grande movimento popolare di solidarietà nei confronti del Popolo Palestinese non cascheranno in questo vecchio giochetto. Le piazze per la Palestina che da ormai due mesi affollano le nostre città e i nostri paesi sanno bene che la pace non si costruisce con la forza e con le armi (e gli eserciti) occidentali. Sanno che lo stato italiano ha interessi economici da difendere (o conquistare): vedi ENI e WeBuild; alleanze militari imposte dall’alto da rispettare: vedi NATO; industrie “strategiche” da difendere: vedi LEONARDO. Le piazze auto organizzate che hanno superato le grandi organizzazioni partitiche e sindacali sanno anche che la pace non nascerà certo dall’alto grazie ai patti mafiosi di Trump, ma si costruisce tutti i giorni dal basso. Qua in Sardegna la pace si costruisce chiudendo le basi militari dove si preparano le guerre e il genocidio palestinese per mano dell’Israel Defence Force, che qui è di casa a Decimo, come lo è stata per anni a Capo Frasca e Quirra. Si costruisce bloccando gli accordi di ricerca tra università sarde e israeliane. Si costruisce chiudendo la fabbrica di bombe RWM di Domusnovas che produce i droni israeliani. Si costruisce dicendo un forte NO alla sua espansione, decisione che ora è in mano a una Regione governata da forze che a parole si dicono contro il genocidio, e speriamo che ai gesti simbolici ne segua ora uno effettivo e reale.


La pace si costruisce banalmente smettendo di vendere armi a Israele, oltre che isolandola diplomaticamente ed economicamente. Liberandoci della filiera bellica sarda e del suo conseguente sottosviluppo contribuiremo alla liberazione della Palestina e di tutti gli altri popoli oppressi dall’occidente, oltre che alla nostra.


Ma ad essere liberate devono essere prima di tutto le nostre menti. Liberiamoci dalla narrazione dominante che celebra ogni anno la forza e l’onore militare, la stessa che chiama eroi i militari morti durante le missioni coloniali in Medio Oriente. Ad ammazzare i militari sardi e italiani a Nassirya non sono state le forze locali di resistenza irachena, ma gli interessi politici e industriali italiani che li hanno mandati in un posto in cui non dovevano essere. Esattamente come i sardi mandati sul fronte austriaco nella prima guerra mondiale non sono morti per l’italia, ma per la sua borghesia industriale. Ora, come cento anni fa, l’Europa tutta si sta riarmando, e il motivo è sempre lo stesso: dar fiato a un complesso industriale in crisi, la cui unica via d’uscita paventata è la riconversione bellica, e soprattutto a una classe dirigente priva di una direzione politica, incapace di dare risposte a qualsiasi esigenza sociale, in cerca di un nemico per compensare la sua crescente mancanza di legittimità democratica.

La narrazione bellica e l’aria di guerra stanno ormai invadendo tutta la società, a partire dalla scuola. Il Ministero dell’istruzione, mentre spinge sempre più i programmi di propaganda e arruolamento interni agli orari curricolari degli istituti scolastici, ha infatti appena annullato la formazione per docenti “4 novembre, la scuola non si arruola”, tentando di delegittimare l’esercizio della critica alla deriva in atto da parte del personale scolastico. Anche per questo il 4 novembre dobbiamo stringerci vicini a tutti i docenti e gli studenti che si oppongono a tutto ciò.

Per tutte queste ragioni invitiamo a disertare e boicottare tutte le manifestazioni militari del 4 di novembre e invece partecipare alle piazze che resistono, per la Palestina e per una Sardegna e una scuola libere dalla narrazione bellica dominante.

A FORAS!

Ricomincia la stagione delle bombe

Come ogni autunno, dagli uffici marittimi delle capitanerie di porto cominciano a fioccare gli ordini di evacuazione delle zone a mare in prossimità dei poligoni sardi.
Un altro anno in cui si dissemineranno aria, acqua e suolo di contaminanti che silenziosamente ammazzano ecosistemi e persone.
Un altro anno in cui senza autorizzazione ambientale si continuerà a svolgere attività inquinanti e distruttive in prossimità o dentro zone protette.
Un altro anno in cui si perpetuerà la marginalità e la disperazione di comunità prive di sbocchi economici che non siano la servitù e l’assistenzialismo militare.
Un altro anno in cui si coltiveranno i rapporti criminali tra assassini che caratterizzano il mercato internazionale delle armi e dei sistemi di sorveglianza.
Un altro anno in cui si addestreranno gli eserciti di mezzo mondo a perpetuare un sistema di violenza e sopraffazione su scala globale.
Un altro anno in cui si addestreranno le forze armate italiane a operare contro la loro stessa cittadinanza, con sistemi di sorveglianza e tecniche di repressione del dissenso sempre più sofisticati.

Quando chiudiamo gli occhi dinnanzi a questo orrore, sopraffatti dalla sua enormità, assuefatti dalla sua riproduzione quotidiana, ricordiamoci che questa è la macchina che rende possibile il genocidio.


Palestina, Sudan, Myanmar, Ucraina, Libia, Repubblica Democratica del Congo, Kurdistan…
I fili che uniscono gli orrori del genocidio e della guerra all’occupazione militare della Sardegna sono infiniti, passano dalle complicità politiche dello stato italiano, dagli accordi di collaborazione delle forze armate, dai rapporti di affari del complesso militare industriale, dalla compromissione degli ambiti della ricerca scientifica e tecnologica con l’industria bellica.
I poligoni militari sardi sono un perno di questo sistema di morte. Dai poligoni militari, questo sistema si estende all’economia, all’istruzione, alla ricerca, alla società tutta, come un tumore, nel tentativo di legittimare un sistema che si fonda sull’assassinio, la minaccia, la prepotenza, il disconoscimento totale dei principi democratici.
Combattere contro l’occupazione militare della Sardegna è combattere contro la macchina del genocidio odierno e di quelli venturi. È una responsabilità storica che ci tocca in prima persona.

Mobilitiamoci!

Riprenderci il territorio: un’escursione nel territorio del PISQ

Domenica scorsa con alcunə compagnə di A Foras abbiamo partecipato ad un’ escursione naturalistica nel Poligono di Quirra, col desiderio di iniziare a riprenderci la Sardegna a partire dalla conoscenza dei suoi monumenti storici e delle sue bellezze ambientali, proprio dove sono maggiormente minacciate.

Questa volta abbiamo iniziato dalla zona del “Poligono a mare” del PISQ.

Siamo partiti da Quirra, una frazione del comune di Villaputzu costituita da case sparse, che confina con il “Distaccamento di Capo San Lorenzo” e la fabbrica di armi della Leonardo S.P.A.

In questa zona ci sono moltissimi resti archeologici di tutte le epoche, fra cui diversi nuraghi, domus de janas, alcune chiesette romaniche e il castello medievale che si affaccia sull’entroterra e domina la valle alluvionale che scende al mare di Murtas.

Il castello di Quirra fu costruito dai giudici di Càlaris nel XII secolo e in seguito fu proprietà di Nino Visconti prima di essere incamerato nei domini di Pisa in Sardegna verso il 1296.

Fu conquistato dagli aragonesi dopo un lungo assedio nel 1324 e fu teatro di diversi scontri con i giudici di Arborea.

Appena sotto il castello inizia la zona del Poligono Militare, che coincide per oltre due terzi con il Sito di Interesse Comunitario “Stagni di Murtas e S’àcua durci”.

Questa zona, con la spiaggia di Murtas è interdetta dal 1 ottobre al 1 giugno.

In seguito all’accordo fra la Regione e il Ministero della Difesa, erano stati aperti alcuni chioschi lungo la spiaggia che sembravano poter contribuire a creare un’ economia alternativa, dove in passato c’era solo l’indotto legato alla base, che soffoca l’economia locale e al tempo stesso illude i sardi di tenerli in vita.

Purtroppo la scorsa estate non sono state più rilasciate concessioni e quindi al momento non esiste nessuna struttura di ristorazione nella zona, eccetto quella che serve i militari e gli operai della Leonardo.

La nostra escursione è terminata alla Torre Spagnola di Murtas, da dove si può vedere la rampa su cui vengono testati i vettori aerospaziali, con la dispersione nell’ ambiente di enormi quantità di sostanze inquinanti.

Da lì purtroppo siamo dovuti tornare indietro, ma siamo sempre più convinti che dobbiamo vedere nostra terra libera, senza più filo spinato e stagioni delle bombe.

Al Lago Omodeo si continua a sparare

Abbiamo visto nelle scorse settimane come le attività militari, nonostante gli accordi Stato-Regione del 2017, abbiano continuato incessantemente durante i mesi estivi con il semplice escamotage di evitare le attività a fuoco. Ma mentre gli accordi del 2017 quantomeno vincolano i militari per quanto riguarda le attività a fuoco, lo stesso non si può dire per le altre forze armate.

Il Centro Addestramento Istruzione Professionale (CAIP) della Polizia di Stato di Abbasanta, infatti, continua a svolgere “esercitazioni di tiro con armi portatili individuali a tiro teso” nel poligono del Lago Omodeo. Queste attività, svolte tutte le mattine dei giorni feriali (dalle 7:00 alle 14:00) sono continuate per tutto l’anno, con una pausa solo nel mese di agosto. Tra marzo e aprile a queste attività si è affiancata quella dei guastatori direttamente operata dentro il lago.

Le persone che vivono nel territorio segnalano il costante rumore delle scariche di munizioni, ma anche rumori più forti, legati probabilmente all’uso di ordigni esplosivi, come già denunciato dai sindaci del circondario in un documento del 2015. Nel poligono non si addestra solo la polizia, ma anche le altre forze armate e contingenti provenienti da paesi esteri. Da un articolo celebrativo del Corriere della Sera del marzo 2024 apprendiamo che in loco si sono addestrate polizie di regime provenienti da mezzo Mediterraneo: Libia, Serbia, Tunisia, Egitto, Emirati Arabi Uniti. Evidentemente il servizio di scorta, punta di diamante delle attività addestrative del CAIP, è un servizio molto richiesto da oligarchi e dittatori.

Attualmente la mancanza di trasparenza sul tipo di attività che vengono svolte nel CAIP (chi si addestra, quando, il tipo di strumentazione e munizioni utilizzato, i rischi per l’ambiente) è pressoché totale, e riflette il consueto disinteresse verso il territorio e le garanzie di controllo democratico delle forze armate tutte. Anche l’utilizzo e la devastazione di spazi del territorio, come ad esempio il villaggio ex-ENEL di Santa Chiara, non risulta formalizzato in alcuna maniera. Le servitù legate al CAIP sono tante e variabili a seconda delle esigenze della Polizia di Stato, insomma, in un contesto di totale mancanza di trasparenza.

Il poligono all’aperto del CAIP, considerato il “fiore all’occhiello” della struttura, si trova nei pressi del comune di Soddì, su un promontorio che domina la costa del Lago Omodeo, e offre una visuale su gran parte della sua area. L’area è situata dentro la Zona Speciale di Conservazione (ZSC) ITB031104 “Media Valle del Tirso e Altopiano di Abbasanta-Rio Siddu”, che ricomprende tutto il Lago Omodeo. Come per Capo Teulada, Capo Frasca, l’area di Capo San Lorenzo, La Maddalena, la sovrapposizione tra aree militarizzate e zone di protezione ambientale è una regola dell’occupazione militare della Sardegna.

L’attuale poligono è dotato di parapalle, dune di sabbia che dovrebbero garantire la mancata dispersione dei bossoli nell’ambiente. Secondo l’articolo del Corriere citato in precedenza, i bossoli verrebbero contati uno per uno per essere recuperati. Ci permettiamo di esprimere quantomeno scetticismo su questa evenienza: la zona interdetta al passaggio dei civili durante l’addestramento è infatti molto più ampia del poligono, questo perché evidentemente esiste la possibilità della dispersione di proiettili fuori bersaglio, i quali sono destinati a ricadere sulla superficie del lago.

Non conoscendo nel dettaglio le attività poste in essere dentro il poligono, non abbiamo modo di sapere quanto sia grave e reiterata questa forma inevitabile di inquinamento.

Va da sé che il Lago Omodeo è il principale bacino idrico della Sardegna, la sua importanza è enorme dal punto di vista dell’approvvigionamento di tutta la Sardegna centro-occidentale, e il fatto che si sia sparato e si spari dentro e intorno a questo bacino è una palese assurdità e mancanza di buonsenso.

La distesa di bossoli che riemerge nei periodi di secca dal fondale del Lago Omodeo

L’attuale poligono ne sostituisce uno precedente situato sulla sponda opposta del Lago Omodeo, nei territori dei comuni di Sorradile e Bidonì. Questo poligono è stato chiuso nel 2004, ma l’eredità ambientale dei rifiuti abbandonati o sepolti sul fondo del lago permane ancora oggi. Occasionalmente lo scandalo della distesa di bossoli e ogive che riemerge dal fondo del lago in secca riemerge sui media, ma ancora ad oggi nessuna procedura di bonifica è stata attuata. Per decenni non si è adottata nessuna azione di mitigazione del danno ambientale, e anzi si è lasciato i rifiuti delle attività addestrative in loco, confidando di averli sepelliti per sempre nel fondo del lago. Il lago infatti è rimasto in collaudo per decenni, e ancora oggi non raggiunge la capienza che avrebbe in teoria dovuto raggiungere con la costruzione della nuova diga. Fosse stato sfruttato a pieno regime, oggi non avremmo modo di raccogliere testimonianza delle attività svolte nel poligono del CAIP tra gli anni sessanta e il 2004.

Per svolgere in ZSC attività con un rischio elevato di impatto ambientale, quali sono quelle addestrative a fuoco delle forze armate, bisognerebbe svolgere una Valutazione di Incidenza Ambientale (VINCA) che tenga conto degli impatti cumulati dall’attività in oggetto nel tempo e nello spazio. Ad oggi non è mai stata presentata nessuna richiesta di VINCA da parte delle autorità competenti per le attività nel poligono

Nel Piano di Gestione della ZSC, aggiornato con decreto dell’Assessore per la difesa dell’ambiente della Regione Sardegna del 9 novembre 2023, i due poligoni sul Lago Omodeo sono citati come elementi di impatto per la “riduzione e/o perdita di qualità dell’habitat di specie”, con riferimento particolare al rischio di inquinamento delle acque del lago dovuto alla dispersione di bossoli e materiali utilizzati durante le esercitazioni.

Un elemento invece sottovalutato, e che pensiamo dovrebbe avere una valutazione propria, è quello dell’inquinamento acustico dovuto all’attività di fuoco pressoché ininterrotta per tutte le ore mattutine dei giorni feriali, la quale comporta sicuro stress per tutte le specie animali, compresa la specie umana.

Come azioni per mitigare gli impatti dovuti alle attività del CAIP nella ZSC, sono previste dal Piano di gestione due azioni differenti: per l’area del vecchio poligono si prevede di procedere con le operazioni di bonifica dell’area inquinata, per il nuovo poligono si prevede di stilare un disciplinare d’uso condiviso con le amministrazioni locali, che consideri anche l’uso di siti alternativi per le esercitazioni. Ambedue queste azioni non sono state ancora attivate, nonostante siano previste come prioritarie e inserite in un cronoprogramma di rispettivamente due e tre anni dall’approvazione del Piano di Gestione. L’ostacolo principale a queste azioni è la necessità di interfacciarsi con il Ministero dell’Interno e la mancanza di una previsione di spesa utile a reperire risorse nei bilanci dello stato. L’inerzia politica dell’ente regionale probabilmente costituisce un altro ostacolo.

Come A Foras mettiamo in questione l’utilità di strutture come il CAIP e il suo poligono, o la necessità di avere quel tipo di struttura in quello spazio preciso. Da troppo tempo l’utilità e la necessità di queste strutture è totalmente sottratta al discorso politico, per essere abbandonata al monologo delle istituzioni interessate: ministeri, prefetture e corpi delle forze armate. Certamente, visto la limitata dimensione del poligono, il suo spostamento in area più idonea sarebbe anche un fatto facile. Ma per noi la questione va oltre un semplice spostamento, che sposterebbe solamente i problemi altrove.

Riteniamo che ci sia una grave questione politica a monte, quella della trasparenza e del controllo democratico sull’operato delle forze armate. È assurdo che anche fatti di minimo buonsenso risultino totalmente estranei al dibattito pubblico, quando si tratta delle forze armate. Non è normale che si rischi di inquinare a casaccio un bacino idrico strategico per la popolazione, che non si pulisca lo schifo lasciato in 40 anni di attività irresponsabili, che non ci si senta minimamente in dovere di sanare e risarcire il danno fatto. Non dovrebbe essere normale che le attività delle forze armate si svolgano al di sopra e aldilà della legge che vige per il resto della popolazione.

Pretendiamo che vengano svolte le procedure di Valutazione di Incidenza Ambientale per l’attività del poligono del CAIP, e che queste procedure vengano svolte non come pro-forma, ma con attenzione alla sostanza delle necessità di protezione ambientale che presiedono all’istituzione delle Zone Speciali di Conservazione.

Pensiamo che in generale si debba aprire un dibattito complessivo e aperto sul ruolo e la presenza delle forze armate in Sardegna: se l’occupazione militare e l’ipertrofia degli apparati legati alla Difesa è un fenomeno abbastanza conosciuto e dibattuto, manca consapevolezza e dibattito sulla presenza e il ruolo degli apparati di sicurezza legati al Ministero degli Interni, spesso non meno ingombrante e fuori luogo.

A Teulada l’occupazione militare non va in vacanza

Da qualche anno, rispondendo alla pressione dei movimenti contro l’occupazione militare della Sardegna, le Forze Armate commissionano studi di campionamento sui valori soglia di inquinanti derivanti dalle attività a fuoco. Tutto questo avviene in un contesto di scarsissima trasparenza, con leggi e regolamenti che consentono a chi svolge le attività inquinanti di monitorare il proprio stesso inquinamento dove e quando vuole farlo, e svolgere una “bonifica” secondo termini e condizioni decise da sé senza il controllo di entità indipendenti.

È in questo quadro che dobbiamo leggere la ordinanza prefettizia del 18 luglio che ha interdetto le aree del Poligono di Capo Teulada date in concessione per attività agropastorali, lasciando invece a disposizione della Difesa le aree per il suo uso eclusivo. Un’ordinanza cautelativa a fronte del superamento dei valori soglia per cadmio, piombo, arsenico e tallio che riguarda varie aree del Poligono. Un’ordinanza tanto cautelativa che, apprendiamo dall’Unione Sarda, risponde a campionamenti effettuati 6 mesi prima!

I valori soglia sono stati superati applicando tabelle destinate alle zone industriali, con valori fino a 100 volte più elevati della norma per una zona agricola, grazie ad un favore del governo Renzi alla lobby della Difesa. Era il 2014, nel pieno del processo e dell’indagine per disastro ambientale rispettivamente nei poligoni di Quirra e Capo Teulada, quando si è consentito con un tratto di penna di modificare i valori soglia applicabili per le zone militari, nonostante all’interno dei poligoni insistano Zone di Conservazione Speciale (ZCS) facenti parte della Rete Natura 2000, considerate importanti per la conservazione di Habitat e specie animali endemiche e a rischio.

Si sperava evidentemente di mettere a tacere una volta per tutte le problematiche relative all’inquinamento dovuto alle attività militari. Ci si sbagliava anche così, ma noi non possiamo dimenticare questo sfregio del diritto: i valori soglia che stanno venendo applicati sono totalmente incompatibili con una Zona di Conservazione Speciale come quella “Isola Rossa e Capo Teulada” al 90% ricompresa nel poligono, o come quella “Promontorio, dune e zona umida di Porto Pino” che al poligono è adiacente. Questi valori soglia sono totalmente incompatibili con aree nelle quali viene consentito il pascolo degli animali, con aree nellle quali d’estate si consente il transito dei turisti e la balneazione. Usare valori soglia del genere è già, di per sé, un cosciente mettere a rischio la salute di persone e animali, un sintomo di disprezzo per il territorio e chi lo abita.

Da febbraio giace negli uffici della Regione Sardegna una procedura di Valutazione di Incidenza Ambientale (VINCA) per le attività del poligono di Capo Teulada. In un documento di 35 pagine abbiamo espresso tutti i motivi per cui le attività del poligono di Capo Teulada sono incompatibili con qualsiasi attività di conservazione ambientale. L’applicazione di valori soglia di contaminazione applicati per le zone industriali è uno dei motivi più chiari ed evidenti di incompatibilità. Il loro superamento un motivo in più per chiedere alla Regione di fare presto, e chiudere questa procedura con un diniego.

Apprendiamo dall’Unione Sarda (la quale ha avuto accesso ai documenti del monitoraggio dell’esercito) che l’inquinamento diffuso nel poligono apparirebbe “inspiegabile”, in particolare per la presenza di metalli pesanti in aree nelle quali non si spara, e che si ipotizzerebbe dei movimenti di terra da una parte all’altra del poligono. Noi una spiegazione semplice per questi movimenti di terra la abbiamo: le esplosioni. Lanciare decine di migliaia di proiettili da terra, aria, mare, di qualsiasi calibro, comporta un enorme movimento di terreno dovuto alle esplosioni. Questa terra non si deposita in situ, ma si muove con i venti e le correnti d’aria, per un perimetro molto ampio, che può tranquillamente eccedere i confini dell’area militarizzata. In sede di VINCA, l’esercito ha totalmente ignorato gli impatti ambientali dovuti alle esplosioni del munizionamento durante le esercitazioni, noi così ci esprimevamo su questo fatto:

Le esplosioni sono di per sé un trauma ambientale che viene inflitto al paesaggio e all’ambiente che non riguarda solamente il cono direttamente interessato dall’esplosione: le esplosioni derivanti dall’impiego di bombardamenti e altri sistemi d’arma generano, a causa delle elevatissime temperature raggiunte in fase d’urto, delle polveri estremamente sottili e penetranti che condensandosi costituiscono le nanoparticelle (che viaggiano e si depositano nell’ambiente, potendo essere ingerite tramite il cibo ovvero inalate) che hanno la caratteristica di essere inorganiche e non biocompatibili. Queste possono depositarsi anche a notevole distanza dai luoghi dell’esplosione, costituendo una sicura causa di inquinamento. D’altronde l’impatto al suolo dei proiettili di grosso calibro comporta, oltre alla distruzione del suolo legata all’esplosione, ulteriori disturbi a più ampio raggio dovuti alle vibrazioni. Queste attività, al dunque, distruggono e sottraggono spazio vitale alle specie oggetto di protezione, intaccando gli spazi di rifugi, tane, nidi, le aree di riproduzione, le aree di diffusione delle specie vegetali, i suoli. Inoltre, è evidente la presenza costante del rischio di uccisione diretta, in seguito agli effetti delle esplosioni, al colpimento di proiettili vaganti, all’impatto con i mezzi in manovra (a terra, in cielo e in mare). Questi fatti piuttosto ovvi sono completamente e inspiegabilmente ignorati”

Noi non abbiamo attualmente ancora modo di sapere dove e come siano stati svolti i campionamenti e, soprattutto, come e dove verranno svolti i futuri campionamenti per confermare o meno l’inquinamento. La mancanza di trasparenza di tutto il processo di governance è un fattore in più di incompatibilità della presenza militare con qualsiasi gestione sostenibile del territorio.

Questa situazione di opacità si presta a qualsiasi abuso e gioco di potere da parte delle forze armate: è evidente come pubblicare a luglio dati di campionamenti presi a gennaio si presti ad un gioco di ricatto verso il territorio, ma è comunque desolante apprendere che la preoccupazione principale dei rappresentanti eletti nel Comune di Teulada sia quella del “danno di immagine” nel pieno della stagione turistica, invece che la generale situazione di inquinamento e sottomissione alle esigenze militari del loro territorio.

Il danno è un danno reale, non di immagine, quantificabile nel territorio sottratto agli ecosistemi come agli usi produttivi, nell’ovvio inquinamento determinato dall’esplosione di migliaia di ordigni ogni anno, nell’asservimento di un intero territorio a logiche di guerra che ne ipotecano qualsiasi ipotesi di sviluppo e, nel lungo termine, anche di sopravvivenza economica e demografica. Non si può pretendere che l’estate sia una parentesi nella quale le conseguenze di ciò che avviene d’inverno scompaiono senza lasciare traccia. D’altra parte, come dimostrano i fatti di questa estate, l’occupazione militare non va mai in vacanza.

Certo, si può e si deve rivendicare con orgoglio che Teulada non è un poligono militare, bensì un paese con una lunga storia, un territorio vasto e bellissimo che merita di essere vissuto, visitato e restituito nella sua integrità all’uso della comunità, ma per farlo occorre fronteggiare il problema causato dall’occupazione militare. Chiudere gli occhi e fingere che questo mostro non ci sia non lo farà certo sparire.

Sostieni le basi? Sostieni il genocidio

Come “A Foras” promuoviamo e aderiamo regolarmente a iniziative contro le guerre, l’occupazione militare e il riarmo, e anche ad altre iniziative che riguardano tematiche fortemente connesse a quelle precedentemente citate, come, per esempio, quella del genocidio del Popolo Palestinese. Con questo stesso spirito abbiamo aderito al sit-in ” ROMPIAMO IL SILENZIO‼️“, previsto per ieri sera, domenica 3 agosto, in Piazza Italia a Sassari. Tra le sigle aderenti era presente anche quella del Partito Democratico, a parole timidamente contro guerra e genocidio, ma nei fatti complice. Noi non dimentichiamo che il PD non si è schierato contro il piano di riarmo nel Parlamento Europeo (i propri eurodeputati hanno in parte votato sì e in parte si sono astenuti). Noi non dimentichiamo che nella base di Decimomannu si esercita regolarmente l’esercito israeliano (in ultimo con i droni) e che il PD non si è mai schierato apertamente né contro questa né contro le altre basi nell’isola (se non per bocca dell’ex deputato Scano, ex-presidente della Commissione uranio impoverito, in seguito prontamente non ricandidato). Noi non dimentichiamo che il PD non si è mai schierato contro la fabbrica di bombe RWM di Domosnovas che ha tra i suoi clienti l’entità sionista israeliana. Noi non dimentichiamo che il sindaco di Sassari – del PD – con una mano riconosce lo stato di Palestina, ma con l’altra accoglie a braccia aperte e tratta da eroi i sassarini di ritorno dalla missione Unifil in Libano, complici anch’essi del piano espansionistico israeliano.

Per denunciare questa ipocrisia ieri siamo scesi in piazza con lo striscione: “Sostieni le basi? Sostieni il genocidio – PD a foras”. Guerra e genocidio iniziano anche qua, in Sardegna, e chi si schiera con questa succursale della filiera della morte di fatto la sostiene.

Non si assolve l’inquinamento di Teulada!

Con ordinanza del 18 luglio la prefettura di Cagliari ha sancito l’interdizione in via cautelativa delle aree del Poligono di Capo Teulada non ad esclusivo uso militare (date in concessione per attività agropastorali).

La motivazione è “una situazione di rischio per superamento delle Concentrazioni soglia di contaminazione del suolo”.

Sono decenni che si denuncia l’ovvia devastazione ambientale che si accompagna alle attività militari nei poligoni sardi, non ci vuole una scienza a capire che decenni di manovre militari e bombardamenti con ogni sorta di ordigno comportano inquinamento e distruzione.

È stato con la lotta e con l’organizzazione di questi decenni che siamo riusciti a costringere i militari a sottoporsi finalmente alle norme ambientali, iniziando a operare i dovuti monitoraggi, e dal gennaio di quest’anno iniziando a sottoporre le loro attività a procedimenti di Valutazione ambientale.

Certo, non dobbiamo cantare vittoria troppo presto, i monitoraggi continuano ad essere svolti in un contesto di totale mancanza di trasparenza.Come emerge anche dall’ultimo documento della Prefettura, è il comando dell’Esercito che gestisce la misurazione delle contaminazioni ambientali, emanando apposito bando per aziende del settore, ed è lui a fornire i dati sul superamento delle soglie di contaminazione. Il controllore e il controllato sono il medesimo ente!

Il sistema di monitoraggio ambientale è chiaramente insufficiente: non vi è diffusione trasparente dei metodi e dei risultati dei rilevamenti, mancano tutte le informazioni necessarie a valutare l’attendibilità scientifica dei rilevamenti, manca una qualsiasi possibilità di raccogliere e valutare in maniera indipendente i dati.

Incredibilmente, non sappiamo nemmeno quali sono i valori soglia applicati ai differenti punti del Poligono! Infatti con il decreto 91 del 2014, è stabilito che nelle aree militari si può scegliere quale tabella di valori soglia utilizzare per i monitoraggi ambientali, consentendo di utilizzare anche quella per le zone industriali che prevede valori soglia nettamente superiori (decine di volte) alla tabella per i siti non industriali.

Ai fini di un ripristino dei territori e di una valutazione scientifica del danno, è fondamentale che i monitoraggi ambientali siano svolti da enti completamente indipendenti dalle gerarchie militari, con criteri di massima trasparenza e condivisione dei dati. Finché non ci sarà una condizione del genere, non si può dare credito al sistema di monitoraggio dei poligoni, anche quando sembra confermare ciò che andiamo dicendo da decenni.

Prendiamo comunque atto del fatto che i militari non possono più insabbiare come prima i danni della loro azione, che non si possono più comportate da padroni assoluti nel nostro territorio.

Noi riteniamo che lo scempio ambientale dei poligoni sardi debba terminare. Quello che chiediamo è sempre lo stesso: chiusura dei poligoni, ripristino dei territori, risarcimento delle comunità per 70 anni di devastazione ambientale, sociale ed economica. Nel frattempo, continueremo ad operare per fare sì che le autorità militari siano inchiodate alle loro responsabilità, e rispettino finalmente le normative che si applicano al resto della popolazione.

A Foras Camp 2025

ANCHE QUEST’ANNO TORNA A FORAS CAMP!

L’AForasCamp2025 si svolgerà nel territorio di Nuoro, presso il Centro giovanile diocesano “San Giovanni”, al Monte Ortobene, da venerdì 25 luglio (mattina – arrivi) a domenica 27 luglio (pomeriggio – partenze).

Per registrarsi completare il form attraverso questo link:

–> Form

PROGRAMMA (IN AGGIORNAMENTO) A FORAS CAMP 2025

Venerdì 25

Mattina e primo pomeriggio: accoglienza e registrazione

H 17:00 – 18:00: Presentazione programma e organizzazione campeggio.

H 18:00 – 20:00: Seminario formativo 1: “Impariamo a difenderci dalla repressione”. A cura di Associazione Libertade.

H 17:00 Manine sporche – Animazione per i più piccoli.

H 20:30: Cena

H 21:30: Cineforum in collaborazione con Festival Al Ard.

Sabato 26

H 8:00 – 10:00 Colazione

H 7:30 Zirande in su Monte. Escursione a numero chiuso nei sentieri dell’Ortobene (max 25 persone), a cura di Massimeddu. Per prenotarsi contattare il num. 3299694001. L’escursione partirà tassativamente alle ore 8:00 per concludersi alle 10:30 circa.

H 9:00 – 13:30: “Nosatr*s e sa terra/Noi (altr*) e la terra”. Laboratorio separatista transfemminista a numero chiuso (max 25 persone) cura di Alice Salimbeni (Salicornia). Per info e prenotazioni scrivere a: ali.salimbeni@gmail.com.

H 10:30 – 13:30: Seminario formativo 2: “Manuale di cybersecurity per attivist* e cittadin* consapevoli”, a cura di Irpimedia.

H 10:30 Manine sporche – Animazione per i più piccoli.

H 13:30 – Pranzo:

H 16:00 – 18:00 Seminario formativo 3: “La colonizzazione sionista In Palestina dalla Nakba al 7 ottobre”. A cura dei Giovani Palestinesi.

H 16:30: Manine sporche – Animazione per i più piccoli.

H 18:30: Concerto con Kunturi

H 20:30: Cena

H 21:30 Concerto con Tenore Murales di Orgosolo e Dj Skento.

Domenica 25

H 8:00 – 10:00 Colazione

H 11:00 – 13:30: Assemblea dibattito “La corsa al riarmo europea e l’occupazione militare in Sardegna”

H 13:30: Pranzo

H 17:00: Concerto conclusivo dei Nugoro Rude.

DOSSIER: STUDIARE LA LONGEVITÀ IN MEZZO AL DISASTRO

Come la propaganda militare tenta di usare la scienza contro la scienza nel Poligono Interforze del Salto di Quirra

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L’11 giugno 2024 si è inaugurato a Perdasdefogu un“Polo di ricerca scientifica e della salute in Ogliastra”, situato dentro le strutture del Poligono Interforze del Salto di Quirra (PISQ).

Un’iniziativa di questo tipo somiglia tanto a una provocazione, considerata la mole di evidenze aneddotiche e scientifiche inerenti i problemi ambientali e sanitari provocati dalle attività del Poligono che non hanno mai beneficiato di indagini scientifiche appropriate.
I problemi sollevati da questa iniziativa sono molteplici:

  • c’è una militarizzazione della ricerca scientifica, che comporta la creazione di conflitti di interessi legati alla provenienza di finanziamenti da parte della Difesa (che finanzia questo centro con mezzi propri, offrendo la sede).
  • c’è un problema connesso di etica della ricerca legato al cosiddetto “uso duale”: l’uso duale non è un qualcosa che riguarda solo i possibili usi militari di tecnologie ad uso civile (o viceversa), ma riguarda la struttura sociale e la pratica della scienza. Quando si fa ricerca in un contesto militarizzato, non si può pretendere di non considerare le finalità che l’autorità militare intende dare alla collaborazione, nascondendosi dietro alla “neutralità” della scienza o alla lontananza dei temi di ricerca dalle applicazioni militari. La domanda è: quale finalità assume la ricerca sulla longevità, fatta dentro il PISQ?
  • c’è un problema di inquinamento della narrazione pubblica del discorso scientifico. Il tentativo, in atto da diversi anni, è infatti quello di sostituire la narrazione sui danni della presenza militare del PISQ, con quella sulla longevità della popolazione ogliastrina.

In questo breve dossier sviluppiamo una serie di ragionamenti sull’operazione propagandistica che si è inteso fare con l’apertura di questo centro di ricerca, allargando il campo ad una serie di questioni inerenti il rapporto tra militarizzazione della società, ricerca scientifica e narrazioni con cui leggiamo e descriviamo il territorio in cui viviamo.

Perché lottare contro l’occupazione militare e per i diritti Queer?


Come nodo sassarese di A Foras aderiamo al Pride 2025. Di seguito riassumiamo il nostro contributo politico al Pride, che vuole collegare in maniera intersezionale la lotta per la liberazione della Sardegna dall’occupazione militare con quella per i diritti Queer.

  • La de-colonizzazione dei territori è inseparabile dalla de-colonizzazione dei corpi.
    Il militarismo è la cultura della violenza esercitata su corpi e territori per ottenerne il controllo. In Sardegna lo vediamo all’opera costantemente, con il 65% delle servitù militari presenti sul nostro territorio, distrutto a livello economico, sociale ed ambientale. Le armi che vanno a portare morte ad altri popoli vengono progettate, sperimentate e collaudate nei poligoni militari e nella fabbrica di bombe RWM.
  • L’ideologia militarista rappresenta una delle espressioni del sistema cis-etero patriarcale.
    In questo contesto, il sistema bellico è il braccio armato del patriarcato. I due sistemi sono co-dipendenti: senza il militarismo il patriarcato non potrebbe perpetrarsi, senza il patriarcato il militarismo perderebbe la sua ragion d’essere: quella di affermare tramite la violenza i confini di proprietà su terre e corpi.
  • Patriarcato e militarismo sono sistemi basati sulla differenza binaria tra maschile e femminile, e sulla sopraffazione di uno sull’altra, dove la scelta è essere o schiavo o padrone, o donna o uomo, o colonizzat* o colonizzatore.
  • Il militarismo ha radici culturali, uno dei suoi primi veicoli è la scuola che tende sempre più a trasformarsi in una “replica” di una caserma militare, dove si instaurano rapporti di potere basati sulla sopraffazione sulle minoranze e delle persone più deboli, annientando la libertà altrui e instillando nelle persone più giovani la cultura militarista.
  • Con la nuova corsa agli armamenti e il dilagare della cultura militarista stiamo andando verso nuovi conflitti. La storia ci ha insegnato che in tempo di guerra i diritti civili vengono meno, e quindi anche i diritti Queer sono da considerarsi a rischio.
    Per questo chiediamo a chi li ha a cuore e partecipa al Pride si schieri contro guerre e occupazione militare.

Attualmente in Europa la parola d’ordine è “riarmo”. Per contrastarlo serve estirpare queste radici, fare un lavoro mirato nei luoghi di istruzione, costruire nuove alternative di vita civile e sociale, dove il rapporto non si basi su gerarchie di stampo militaresco. Non vogliamo generali, non siamo arruolat* e non siamo arruolabili, partiamo dal margine per diventare centro, per riprenderci i nostri spazi, le nostre terre libere e liberate, anche e soprattutto dalla presenza materiale delle basi militari, le nostre vite libere e liberate dell’ideologia della guerra, del militarismo e del patriarcato.

+ (diritti) QUEER

(poligono di) QUIRRA

A Foras – Contra a s’ocupatzione militare de sa Sardigna

Nodo di Sassari