PIAZZA RUMOROSA, PREFETTURA MUTA

SASSARI – 22 SETTEMBRE 2025 – SCIOPERO GENERALE

Oltre 3 mila persone hanno fatto sentire la propria voce a Sassari, in occasione dello sciopero generale per la Palestina.

In una Piazza d’Italia gremita fin da prima delle 10:30, orario della chiamata, si sono susseguiti numerosi interventi, uniti tutti dalla richiesta al Governo italiano di interrompere i rapporti commerciali ed economici con l’entità sionista israeliana.

In particolare si è denunciato il ruolo della Sardegna nel genocidio: dalla presenza dell’IDF nelle proprie basi militari, alla cooperazione tra università sarde e israeliane fino alle ingenti commesse della fabbrica di bombe RWM di Domusnovas.

A tutto ciò si è recentemente aggiunta la repressione, sotto forma di fogli di via da Olbia, nei confronti dellə militanti che hanno protestato contro i turisti sionisti in Gallura.

Al termine della mattinata le numerose persone ancora presenti in piazza si sono riversate all’ingresso della Prefettura di Sassari, con l’obiettivo di consegnare una lettera, firmata da oltre 30 sigle presenti allo sciopero, alla Prefetta di Sassari.

La lettera conteneva le seguenti rivendicazioni:

• CHIEDIAMO CHE L’ITALIA CESSI OGNI RELAZIONE DIPLOMATICA, COMMERCIALE E MILITARE CON ISRAELE.

• CHIEDIAMO CHE SI APPRONTINO SANZIONI ECONOMICHE CONTRO ISRAELE, IN PARTICOLARE CHE CESSI IL COMMERCIO DI ARMI E LE PARTNERSHIP UNIVERSITARIE, INDUSTRIALI E MILITARI, COMPRESE QUELLE CHE AVVENGONO NELLE BASI MILITARI SARDE.

• CHIEDIAMO CHE IL DDL 1004 VENGA UFFICIALMENTE BOCCIATO ESSENDO UN PROVVEDIMENTO REPRESSIVO UTILE A INTERROMPERE QUALSIASI MANIFESTAZIONE A SOSTEGNO DEL POPOLO PALESTINESE

Per le ultime tre richieste è stato chiesto alla Prefetta un pronunciamento pubblico, essendo questioni strettamente legate a tematiche locali:

• CHIEDIAMO DEI CHIARIMENTI CIRCA LA PRESENZA E LE ATTIVITÀ SVOLTE DALL’IDF NEGLI ULTIMI MESI IN SARDEGNA, IN PARTICOLARE NELLA BASE MILITARE DI DECIMOMANNU.

• CHIEDIAMO CHIARIMENTI SULLA PRESENZA DELL’INTELLIGENCE ISRAELIANA IN SARDEGNA E DI EVENTUALI RAPPORTI CON LE FORZE DI POLIZIA LOCALE.

• CHIEDIAMO CHE LA QUESTURA DI SASSARI REVOCHI I PROVVEDIMENTI DEI FOGLI DI VIA AI MANIFESTANTI CONTRO I TURISTI SIONISTI, PUNITI PER AVER PALESATO IL PROPRIO DISSENSO IN MANIERA PACIFICA.

Le risposte sono state di un silenzio assordante, nascosto dietro “non so”, “non posso rispondere” e “non è un’informazione di mia competenza”.

Anche questi silenzi comunicano qualcosa: ovvero la volontà di Prefetto e Governo di tenere nascoste le attività militari e dei servizi segreti israeliani in Sardegna.

Evidentemente questi sono più importanti del Popolo Sardo.

Sulla rimozione del provvedimento repressivo dei fogli di via: l’unica risposta che ci è stata data è “analizzerò gli atti – il ricorso e il provvedimento – e prenderò una decisione”.

Contiamo che questa decisione sarà presa al più presto possibile, e, come abbiamo comunicato alla Prefetta, continueremo a mantenere alta l’attenzione sul tema.

LA MOBILITAZIONE NON CESSERÀ, VOGLIAMO RISPOSTE, E LE AVREMO!

TENIAMO ALTA LA MOBILITAZIONE

FUORI I SIONISTI DALLA SARDEGNA

NO ALLA COMPLICITA DELLO STATO ITALIANO

REVOCA COLLETTIVA DEI FOGLI DI VIA

STOP AL TURISMO SIONISTA E STOP AL GENOCIDIO DEL POPOLO PALESTINESE.

Sulle macerie e sulle coste – Dal colonialismo genocidario israeliano alla villeggiatura in Sardegna

I fatti, più o meno, li conosciamo. La popolazione palestinese sta subendo un genocidio da parte dello stato di Israele, appoggiato da complici occidentali. La soluzione finale è in corso, come dichiarato dal Primo Ministro israeliano Netanyahu. La guerra di Israele contro la Palestina dura da più di settant’anni, con dei picchi di sterminio che partono dalla Nakba e che oggi superano qualsiasi misura mai conosciuta prima. E da allora la popolazione palestinese resiste.

Cosa farne di una terra devastata non è mai stato un gran problema per lo Stato Ebraico. Da mesi si chiacchiera del progetto di costruzione della cosiddetta “Gaza Riviera”, che ora sembra concretizzarsi attraverso un piano di investimenti da parte di Israele e USA: il Washington Post ha reso noto che il Gaza Reconstitution, Economic Acceleration and Transformation (GREAT) è stato effettivamente steso in un documento di 38 pagine.

Ufficialmente “trasferimenti temporanei” e “partenze volontarie”, sono di fatto una deportazione degli oltre 2 milioni abitanti della Striscia a seguito di una guerra che ha raso al suolo il territorio palestinese e sterminato la sua popolazione.

La guerra di Israele alla popolazione palestinese è sempre stata riconosciuta nella sua natura di guerra di insediamento coloniale per la realizzazione di un progetto etno-nazionalista, fondamentalista religioso, con la speficifica caratteristica di essere un solido baluardo capitalista occidentale nei paesi arabi. Cosa significa tutto questo è disvelato dagli espliciti discorsi sionisti, dal pronunciato odio verso la popolazione araba, dalla tecnologia militare e dal coinvolgimento totale della popolazione civile israeliana nella guerra. E ultimo, ma non per importanza, dai piani di ricostruzione del futuro della Striscia – futuro di cui i coloni israeliani si sono appropriati- e tra questi piani spicca appunto il GREAT.

Così Israele si presenta come avanguardia colonialista per eccellenza, con il caratteristico sincretismo di lusso, investimenti immobiliari, turismo, Hi-tech, tutto sotto stretta sorveglianza militare.

Arriviamo al dunque. C’è un filo nemmeno troppo sottile che collega l’industria del turismo di lusso modello israeliano e la Sardegna. Proprio questa estate, mentre a Gaza prosegue il genocidio, viene fatto su un mega yatch a largo della Costa Smeralda un summit con Steve Witkoff, rappresentante diplomatico statunitense, il primo ministro del Qatar e il ministro israeliano Ron Dermer, annunciato come una trattativa per il cessate fuoco a Gaza e conclusosi con un nulla di fatto ma con i tratti di una piacevole villeggiatura.

E’ stata poi annunciata per giugno l’inaugurazione della nuova tratta diretta Olbia-Tel Aviv, rinforzata da controlli speciali su passeggeri e bagagli, che saranno gestiti in collaborazione con le autorità israeliane, ovvero agenti in borghese – con tutta probabilità, ci sentiamo di aggiungere, agenti del Mossad.

La popolazione sarda durante gli ultimi mesi ha manifestato più volte in mille contesti e con mille strumenti differenti la propria solidarietà verso il popolo palestinese. Una solidarietà fatta da piccole azioni spontanee e individuali come l’esibizione di bandiere e striscioni durante le feste popolari e di mobilitazioni più strutturate da parte del mondo dell’associazionismo, dell’antagonismo, delle realtà politiche indipendentiste e della sinistra di classe fino ad arrivare al mondo cattolico. Anche nel caso degli arrivi da Tel Aviv questa solidarietà non è venuta meno e già dal primo arrivo, in data 27 agosto 2025, i turisti sionisti hanno trovato un nutrito comitato di accoglienza a destinazione. Durante il presidio di domenica 31 agosto circa 200 manifestanti sono addirittura riusciti a bloccare per 3 ore il transito dei turisti israeliani verso il loro hotel, ricevendo sostegno e solidarietà dal personale aeroportuale e da tanti altri turisti in transito all’aeroporto di Olbia. Come spesso accade, in funzione dell’arrivo del 4 settembre, probabilmente sotto pressioni del Mossad, la polizia italiana si è dotata delle dovute contromisure schierando l’antisommossa e scortando gli autobus del turismo sionista fino al loro hotel, arrivando addirittura a identificare 5 cittadine (di cui un bambino) che semplicemente passeggiavano in aeroporto perché riconosciute come solidali alla causa palestinese.

La scelta della Sardegna come avamposto di villeggiatura e riposo per civili e militari israeliani non riteniamo sia casuale. Per cominciare, la Costa Smeralda è un baluardo del turismo di lusso, un territorio di fatto inaccessibile alle persone sarde, proibitivo a causa dei costi diretti e indiretti, schiavile nei termini delle condizioni di lavoro con cui nostr3 compaesan3 vengono assunt3 nelle strutture ricettive. Materialmente e moralmente lontano dai nostri desideri su come vivere la nostra terra.

A questo si aggiunge la militarizzazione diretta di così tante aree che qualsiasi destinazione turistica si ritrova confinante con basi Nato o altre strutture militari, dato probabilmente rilevante per chi ne fa una questione di sicurezza in un momento così teso dal punto di vista geopolitico. Togliendo le aree di turismo ad alto impatto e le zone militari, si capisce che a noi resta ben poco.

Un insulto, per noi, essere la destinazione favorita dai coloni israeliani complici del genocidio. Un insegnamento, per loro, su come ri-valorizzare una terra ormai inaridita ma con un grande potenziale di estrattivismo economico. Così si intersecano senza troppi nodi i fili che legano un genocidio, l’economia della guerra, il colonialismo e il turismo. Da grandi condanne derivano grandi responsabilità: fare di tutto per liberare la Palestina è fare di tutto per togliere le basi alle guerre coloniali e ai grandi capitali partendo dai centri economici delle nostre terre occidentali.

La proposta è già in atto ma ha bisogno di qualche chiarimento: l’intento dei presidi e delle azioni di disturbo all’aeroporto non è stato solo quello di esprimere un dissenso, ma quello di portare alla luce dove partono, dove atterrano e che itinerario percorrono i legami dei poteri forti da qui a Gaza.

E’ a proposito di itinerari e ospitanti che ci proponiamo quindi di rendere pubbliche alcune informazioni che abbiamo reperito prima e durante le azioni di disturbo. L’obiettivo sarà quello di rendere la Sardegna un luogo dove i complici del genocidio non siano i benvenuti, e quindi la cancellazione della tratta Tel Aviv-Olbia, il rifiuto da parte delle strutture locali di ospitare e accogliere i responsabili della guerra in Palestina, decostruire il mito dell’industria turistica come possibilità di sviluppo; ma anche trasformare il dissenso e la solidarietà fine a se stessa in mobilitazione contro l’occupazione militare, la fabbrica di bombe RWM di Domusnovas, i rapporti economici fra università e istituzioni con lo stato di Israele, la partecipazione della Brigata Sassari a “missioni di pace” che di fatto sostengono l’occupazione sionista del Libano, il boicottaggio delle merci legate al genocidio. Insomma, lottare per liberare noi stesse e i nostri territori è un contributo attivo e diretto alla libertà del popolo palestinese.

Fondamentale è per questo organizzarsi e sostenere chi di noi persone sarde lavora nel settore della ristorazione o nel settore alberghiero in condizioni contrattuali (o non contrattuali!) pessime, le stesse che non permettono di avere forza sindacale per rifiutarsi di far disossare la nostra terra da chi stermina la popolazione palestinese e dai pesci grossi del turismo. Così come la Sumud Flottilla prende il vento per rompere l’assedio grazie al sostegno di migliaia di persone, ognuna che fa il suo pezzo partendo dal proprio quotidiano e dal proprio luogo di studio o di lavoro, anche la Sardegna ha la responsabilità di aggredire le proprie contraddizioni.

Rinnovando l’invito a prendere contatti e raccogliere informazioni , elenchiamo alcune delle strutture e infrastrutture coinvolte nell’accoglienza di coloni-turisti israeliani

  • Geasar, azienda che gestisce l’aeroporto di Olbia
  • Mangia’s Sardinia Resort, Santa Teresa, Via Antares 1
  • Cantina Surrau, Arzachena, località Chilvagghja
  • Ristorante Pizzeria La Ruota, Arzachena, località Cascioni
  • Phi Beach Club, Baja Sardinia, località Forte Cappellini
  • Boutique del Mar, Palau, località Mannena Spiaggia Bruciata

Questa invece la compagnia che organizza viaggi per i dipendenti del settore della comunicazione hi-tech, Vaad Cellcom:


Alcune di queste strutture, come ad esempio il Mangia’s Sardinia Resort (Aeroviaggi) e il Phi Beach (la cui struttura è proprietà della Regione Sardegna), non rappresentano altro che la forma del colonialismo turistico che noi sarde conosciamo bene e che in questo caso particolare aggravano la loro presenza prepotente sulla nostra terra permettendosi di ospitare coloni di uno stato genocida. Strutture di coloni che ospitano altri coloni e che lucrano da decenni sul nostro territorio in cambio di qualche busta paga da cameriere e lavapiatti. Decostruire il mito dell’industria turistica, smascherarne i ritmi di lavoro disumani, sindacalizzare le lavoratrici, criticarne e combatterne la presenza sul territorio è un obbiettivo urgente che dovremmo porci e quest’ultima gravissima contraddizione ci dà l’occasione di cominciare.

In sostanza, sappiamo che il genocidio inizia anche da qui, da dietro casa nostra, dai porti e aeroporti che visitiamo spesso quando costrette ad emigrare, dai luoghi del lusso della Costa Smeralda, cioè il parco giochi dei coloni per altri coloni, dai poligoni e dalle installazioni militari.
Dunque, cosa possiamo fare noi?
Come anche il BDS suggerisce, le pratiche possono essere tante, diverse e creative.

  • Presidiare e disturbare i luoghi frequentati dai sionisti, affinché sia evidente che il popolo sardo sa cosa succede e di che crimini siano macchiati.
  • Essere presenti agli arrivi da Tel Aviv all’aeroporto di Olbia, sia ai presidi pubblici sia individualmente.
  • Boicottare tutti i locali elencati sopra.
  • Chiedere loro conto della complicità al genocidio: dal vivo, per e-mail, sui social. Intasiamo i loro canali: ospitano e intrattengono criminali di guerra.
  • Fare pressione alle amministrazioni locali e regionali affinché si esprimano e blocchino lo scempio in atto.
  • Diffondere queste informazioni affinché tutte/i possano posizionarsi in merito.
  • Contattarci per segnalazioni a riguardo, locali o strutture coinvolte, aggressioni sioniste ai danni delle lavoratrici in Gallura.
  • Organizzare e partecipare alle mobilitazioni contro la guerra.


La lotta non è semplice, spesso ci sentiamo impotenti di fronte a ciò che accade in Palestina, però sappiamo che non siamo sole: i popoli del mondo intero si stanno schierando con i propri corpi contro il genocidio, in ogni modo possibile. Abbiamo amici dappertutto! I governi sostengono lo sterminio, ma le persone no; sta a noi, con la nostra forza e la consapevolezza di essere dalla parte giusta, riconquistare una vita e una terra di libertà, per noi e per il popolo palestinese. E non solo.



Il silenzio è complicità.
La storia chiederà il conto.

Contra sa gherra
Palestina libera, Sardigna libera

COMUNICATO DEL CùLEZIU CONTRA A LA GHERRA SULLE CELEBRAZIONI PER LA BRIGATA SASSARI DEL PRIMO MARZO E LA MISSIONI UNIFIL IN LIBANO

La missione UNIFIL in Libano, a cui ha partecipato la Brigata Sassari, è una missione per il mantenimento della pace o a sostegno della guerra israeliana contro il Libano? La retorica e la propaganda sostengono la prima versione, ma non è esattamente così.

Sabato primo marzo si celebrano i 110 anni della Brigata Sassari e il suo ritorno dalla missione UNIFIL nel sud del Libano, composta da diversi eserciti occidentali sotto l’egida dell’ONU. Per numero e grado i principali eserciti presenti sono quello italiano e indonesiano. In particolare la Brigata Sassari (che ha appena concluso la sua missione di 6 mesi) era il gruppo più numeroso, con 1.200 soldati. Secondo il Ministero della Difesa, gli obiettivi di questa missione sono “monitorare la cessazione delle attività belliche, assistere alle attività delle forze armate libanesi, monitorare il rispetto della blue line, supportare la popolazione locale e effettuare operazioni di check point e pattugliamento”. Tuttavia, UNIFIL non è esattamente il mezzo per garantire la pace e il cessate il fuoco, come i media occidentali e la propaganda della Brigata Sassari ce la descrivono.

UNIFIL non è affatto un soggetto super partes, ma al contrario è spudoratamente dalla parte di Israele. In primis lo dimostra il fatto che tutti i suoi eserciti sono stanziati esclusivamente in territorio Libanese, che rappresenta la parte invasa da Israele, che al contrario non vede neanche un soldato sul suo territorio. Il suo vero ruolo è quello di collaborare con Israele, il cui rapporto è in certi casi visto dai libanesi come al limite della delazione. La missione non ha evitato la violazione del cessate il fuoco da parte di Israele, anche se sulla carta sarebbe il suo ruolo principale: non la ha evitata questo autunno, quanto si è vista bombardare i propri stessi avamposti e non la ha evitata il 23 febbraio. In quest’ultima occasione gli aerei da guerra F15 dell’IDF (Israel Defence Force) hanno prima bombardato la valle di Bekaa e dopo 15 minuti hanno sorvolato a bassa quota in segno provocatorio la folla presente al funerale di Hassan Nasrallah, leader di Hezbollah (dopo averne già minacciato il bombardamento).

Per dimostrare tutto ciò, vorremmo dare voce al popolo libanese, che quotidianamente subisce bombardamenti e soprusi dall’entità sionista, e che purtroppo non trova spazio nei media occidentali. Come sottolinea Nicoles Youness, ricercatrice libanese presso l’Università Libanese:

L’UNIFIL non è per il mantenimento della pace, contrariamente a quanto sembra (in realtà contribuisce a servire l’entità sionista). La missione UNIFIL in Libano è composta da oltre 10.000 soldati, di cui il contingente principale è quello italiano. Potrebbero effettivamente svolgere un ruolo importante nel prevenire la guerra, ma di fatto non lo fanno, attenendosi invece agli ordini dell’occupazione sionista. Di fatto il Libano meridionale era ed è ancora sotto occupazione sionista, e gli eserciti di UNIFIL sono funzionali al mantenimento di questa situazione.

È pur vero che UNIFIL svolge attività umanitaria, come distribuire cibo e beni di prima necessità ad alcune famiglie, ma allo stesso tempo raccoglie informazioni (foto, coordinate), che gira all’esercito di occupazione sionista. È infatti capitato che l’IDF bombardasse luoghi dei quali UNIFIL aveva fornito loro le coordinate. A riprova di ciò, Al Jazeera mostra le testimonianze di libanesi del sud che hanno visto personale UNIFIL riprendere i loro villaggi, alimentando la percezione che tali azioni equivalessero più a operazioni di spionaggio che a peacekeeping. Timur Göksel (un ex portavoce e consigliere senior dell’UNIFIL) conferma che le agenzie di intelligence sioniste hanno infiltrato i ranghi dell’UNIFIL, reclutando personale per agire come informatori. Tali rivelazioni, sebbene ampiamente riconosciute, non hanno mai portato a una seria indagine interna.

Israele ha bombardato non solo i villaggi e le città del Libano, ma ha anche gli stessi avamposti di UNIFIL, ordinando loro di evacuarli, cosa che hanno fatto senza esitazione con l’eccezione dell’esercito Irlandese.

La gente del sud del Libano ritiene che il ruolo dell’UNIFIL sia spesso limitato allo spionaggio per l’occupazione sionista e alla legittimazione delle violazioni dei diritti umani. Non è uno scherzo, non è una bugia, UNIFIL è una marionetta nelle mani degli occupanti sionisti. L’UNIFIL non è affatto neutrale, è una parte del conflitto, che aiuta e sostiene l’esercito di occupazione sionista. Anche questo è dimostrato.”


In conclusione vogliamo denunciare l’ipocrisia delle istituzioni che da una parte si schierano per la pace, come dimostra lo striscione presente in Prefettura (“Cessate il fuoco. Pace”), dall’altra celebrano i militari della Brigata Sassari come eroi, quando invece, come dimostra la testimonianza appena citata, questi, così come tutto il contingente UNIFIL, non sono altro che una forza funzionale al perpetrarsi di guerre e genocidi a opera di Israele.


Sassari, 01/03/2025. Cùleziu contra a la gherra.


Fonti:
https://www.youtube.com/watch?v=r2IjU5vrrnM
https://www.aa.com.tr/en/europe/ireland-rejects-israeli-armys-request-to-withdraw-peacekeepers-from-lebanese-border-media-report/3351967
https://www.youtube.com/watch?v=tV9WeicKjeU
Documentazione per immagini e video:
https://x.com/cbonneauimages/status/1890498056241504632/photo/3 (Yaroun, in Libano, l’IDF ha riempito 10 case di esplosivi sotto gli occhi dell’ONU. Più tardi in serata, le hanno fatte esplodere.)

UN PROCESSO CONTRO TUTTE E TUTTI NOI, CI VEDIAMO IL 15 APRILE PER UNA NUOVA MANIFESTAZIONE

L’aula della Corte d’Assise, quella dove si svolgono i processi per omicidio, sequestro di persona e rapina a mano armata. È stato questo lo scenario dove, ieri, si è svolta l’udienza preliminare per i 45 indagati e indagate dell’operazione Lince. Non per ragioni giuridiche, solo cinque persone rischiano di dover affrontare il processo in Corte d’Assise, si tratta delle persone su cui è fatta cadere l’assurda accusa di associazione a delinquere con finalità terroristiche, ma per semplici ragioni logistiche: era l’unica aula abbastanza grande per contenere tutti quegli indagati e indagate.

Bisogna tornare indietro nel tempo, in Sardegna, per trovare un processo di questo tipo. Siamo negli anni Sessanta a Oristano, e centinaia di pescatori di Cabras vengono indagati per rapina e altri reati gravi. Si trattava di una forzatura portata avanti da quegli stessi magistrati che ricevevano in regalo quintali di muggini e vivevano in affitto nelle fastose residenze dei padroni dello stagno, le presunte vittime della presunta rapina che era, in realtà, al massimo una pesca di frodo.

Un processo farsa, che non partirà mai, perché all’epoca a Oristano non c’era nemmeno un teatro dove poter ospitare i circa 300 pescatori indagati. Un processo interamente politico, smontato da un collegio di legali di cui fecero parte nomi del calibro di Umberto Terracina. E i parallelismi sono tanti, con quanto è successo ieri a Cagliari.

Obiettivo di quel processo era criminalizzare e soffocare il nascente movimento dei pescatori liberi, che dopo 30 anni di lotte, scioperi, arresti e persino morti, riuscirà nell’intento di sottrarre lo stagno di Cabras ai suoi padroni feudali e trasformarlo in un bene pubblico. Obiettivo del procedimento legato all’operazione Lince è quello di criminalizzare il movimento sardo contro l’occupazione militare che, tra alti e bassi certamente, gode da decenni di un consenso significativo in seno al popolo sardo.

Oggi come allora le accuse sono slegate dalla realtà e mescolate insieme in un minestrone difficile da digerire anche per gli stomaci più pelosi. «Questi vogliono fare la rivoluzione!» ha detto più o meno l’accusa nella sua requisitoria, durante la quale ha chiesto il rinvio a giudizio di tutte e tutti gli indagati. È un peccato che il processo non sia stato trasmesso in diretta da qualche parte: chi lo avesse seguito si sarebbe reso conto dei suoi caratteri assurdi.

Allora ci furono verbali falsi e un sistema di connivenze all’interno della Oristano bene che vedeva dalla stessa parte della barricata magistrati, carabinieri e padroni dello stagno. Anche oggi l’accusa e le presunte parti lese fanno parte della stessa consorteria: lo Stato. Quello Stato che è il responsabile dell’occupazione militare della Sardegna, quella stessa Procura che chiede l’archiviazione per i cinque generali indagati per il disastro ambientale del poligono di Teulada e della sua penisola Delta.

Ieri il processo vedeva sul banco degli imputati la possibilità di svolgere una legittima attività politica di opposizione all’occupazione militare della nostra terra. Gli imputati e le imputate non sono solo 45, ma sono migliaia se non di più. Alla sbarra c’erano i diecimila di Capo Frasca de 2014, le migliaia scese in piazza negli anni successivi, tutte e tutti quelli che manifesteranno da ora in avanti.

A chiedere la condanna di un intero movimento ci si è messo il vertice stesso dello Stato, con la Presidenza del Consiglio dei Ministri che si è costituita parte civile ed è pronta a chiedere un cospicuo risarcimento alle 45 indagate e indagati. La goccia di veleno ben custodita nella coda di questo governo Conte bis, che non si differenzia in nulla dai suoi predecessori per quel che riguarda l’occupazione militare della Sardegna come non saranno diversi i suoi successori.

L’udienza è stata aggiornata al 15 aprile, quando ascolteremo le parole della difesa contro la richiesta di rinvio a giudizio. Ma la battaglia non la si vincerà solo dentro l’aula della Corte d’Assise di Cagliari. È un processo politico, e politica dovrà essere la risposta.

Ci vedremo sicuramente il 15 aprile per una nuova manifestazione, contro la repressione e contro l’occupazione militare della Sardegna.

MERENDA SOLIDALE: OPERAZIONE LINCE – 10 GENNAIO ore 15:00 piazza San Domenico, Cagliari

Ogni cosa ha i suoi tempi.
Le lotte, ahinoi, ne hanno diversi e non sempre tutti sfavillanti come vorremmo.
C’è il momento entusiasmante dell’azione, spesso segue quello della dannata repressione ma in compenso arriva la confortante e incoraggiante solidarietà!
Se è importante davanti a delle reti di una base, in mezzo a dei lacrimogeni, o davanti ad antipatici schieramenti blu, diventa ancora più importante quando non si ha davanti niente di tutto questo, bensì la prospettiva di una grigia aula di tribunale.
Questa prospettiva ce l’abbiamo davanti adesso: il 19 e il 27 gennaio (sorveglianze speciali e udienza preliminare operazione lince) molte e molti avranno bisogno di tutta la nostra vicinanza.
La solidarietà ha tante forme, non smettere di lottare è la prima, certo.
Ma in questo momento c’è bisogno anche di dolcezza, calore, allegria e vil pecunia!
Per questo vi invitiamo il 10 gennaio alle ore 15.00 in Piazza San Domenico a Cagliari alla merenda solidale!
Torte, dolcetti, tisane, vin brûlé e giochi per scaldarci i cuori, per prepararci ad affrontare questo freddo e ostile gennaio!
Se non puoi venire, potrai comunque contribuire, facendo un’offerta alla cassa per le spese legali contro le attività militari e indicando nella causale “contributo Operazione Lince”:
IBAN: IT40D3608105138263281063295
Intestataria: Emanuela Falqui
Per ricariche PostePay (da effettuarsi in posta e non nelle ricevitorie):
Numero carta: 5333 1711 2593 7447
Assemblea Indagati e solidali

Merenda solidale: operazione lince
10 gennaio 2021, ore 15.00, Piazza San Domenico – Cagliari

Fiaccolata di solidarietà con gli operatori sanitari // 20 dicembre h. 16 30 // Cagliari, Piazza Quirra

Il 20 dicembre 2020 alle ore 16:30 a Foras, movimento contro l’occupazione militare della Sardegna, convoca in piazza Quirra a Cagliari una fiaccolata in solidarietà con dottoresse, medici, infermier*, operatori socio sanitari che in quest’anno difficile hanno lottato e tuttora lottano contro la pandemia in una situazione di carenza cronica di mezzi e strutture.
La campagna “Più ospedali meno militari”, partita ad aprile di quest’anno, ha evidenziato le contraddizioni più evidenti di uno Stato che per decenni ha investito nell’economia militare, ha offerto spazi, territori e infrastrutture alla macchina bellica, a discapito del settore sanitario pubblico. I disinvestimenti hanno inevitabilmente causato la chiusura di una serie di presidi sanitari locali, reparti e minato il diritto alla salute di sardi e sarde.
Questo presidio vuole dare spazio alle centinaia di persone provenienti da tutta la società civile sarda, operat* sanitari* compres*, che hanno contribuito a più riprese alla buona riuscita di questa campagna.
Dalla manifestazione di Capo Frasca contro le esercitazioni militari fino alla partecipazione alle attività di aiuto e sostegno alla comunità di Bitti colpita dall’alluvione, A Foras ritorna nelle strade sarde per chiudere un anno di mobilitazioni, in vista delle sfide del 2021.
A Gennaio ci saranno due udienze importanti nel quale militanti che si sono battut* generosamente, per la nostra terra e contro le basi militari, si troveranno a difendersi da accuse gravissime al quale tutto il popolo sardo dovrà rispondere con vicinanza e complicità.
Per questo motivo vi invitiamo a partecipare in massa con fiaccole, striscioni e interventi a questo presidio. Al termine dello stesso alcun* si recheranno di fronte all’ospedale Santissima Trinità per omaggiare con uno striscione lavoratori e lavoratrici del presidio sanitario e affermare per l’ennesima volta la nostre richieste:
• Chiediamo che fin da ora si stabilisca inderogabilmente una moratoria su tutte le esercitazioni militari.
• Chiediamo che la Regione e lo Stato ritirino i finanziamenti a progetti utili solo agli interessi delle forze armate e al profitto delle industrie del settore bellico. A titolo di esempio, chiediamo lo stop al finanziamento del progetto SIAT di Teulada, al co-finanziamento pubblico della piattaforma per i test dei motori missilistici nel Poligono di Quirra e al co-finanziamento del progetto Caserme Verdi, che riguarda – in Sardegna – le tre caserme dell’Esercito a Cagliari e quella di Teulada.
• Chiediamo che i soldi risparmiati grazie ai primi due punti siano reinvestiti nel potenziamento della sanità pubblica sarda.

 

TESTIMONIANZE DA BITTI (2)

A Foras intende continuare ad essere un luogo di confronto e dare spazio al dibattito sulle problematiche sociali che sono in qualche modo legate all’occupazione militare della nostra terra. Per questo vi invitiamo a condividere con noi le vostre esperienze e le vostre sensazioni maturate durante l’attività di volontari e volontarie.
– – – – – –

“Oggi sono stato a Bitti e ci sarò anche domani insieme a compagni e compagne del Mutuo Soccorso Casteddu e di A Foras provenienti da diverse parti del territorio sardo.
Per fortuna, in modo puramente casuale, siamo finit* lontano dal centro, lontano dai riflettori e dalle stellette che hanno occupato lo spazio dei selfie e dei post degli italiani di Sardegna.
Siamo finit* nell’officina di un fabbro e di suo figlio infermiere, abbiamo spalato braccio a braccio per dieci ore e condiviso quel poco che in questo momento ci scalda il cuore, un bicchiere di vino, due sigarette, una canzone.
Abbiamo parlato della “calamità” di una politica lontana e di quanto sia paradossale che i mezzi militari che agiscono a Bitti surclassino di gran lunga qualsiasi mezzo dei vigili del fuoco, della protezione civile, degli enti forestali.
Sarà un puro caso, io a Bitti non ci sono mai stato, ma pare che a culo e con un occhio superficiale, questo endorsement verso la brigata Sassari e i cacciatori di Sardegna non sia proprio una cosa da dare per scontata.
Qui si parla di investimenti per la messa in sicurezza del territorio, sulla sanità e si esalta, pure in tempo di covid, una solidarietà dal basso proveniente da tutte le parti della Sardegna.
Ho rischiato le lacrime prima dal fabbro e tutta la cricca di giovani bitzichesos, poi dal macellaio, al market e nello tzilleri quando pareva che fossimo del paese dalla nascita.
In piazza ho visto l’ennesima operazione di una società per azioni che vende la sua immagine per legittimarsi davanti alla popolazione. Ho visto questa impresa mostrare la sua forza davanti a corpi civili che girano con land rover e defender degli anni ’80; oggi uno di questi mezzi dei vigili del fuoco è rimasto vittima di una voragine creatasi nel manto stradale al suo passaggio.
Oggi l’esercito ha mostrato i suoi denti e i suoi mezzi pesanti per l ennesima operazione di marketing, mostrando un bel portfolio, davanti a 60 e passa anni di devastazione del nostro territorio, recintato ed espropriato.
Oggi penso che i figli di questa terra morti per malattia a causa di guerre ed esercitazioni meritino giustizia, davanti a un ricatto del lavoro che ha portato tanti ragazzi della mia classe nelle scuole, o che giocavano a calcio con me, a scegliere l’arma.
Oggi penso che l esercito sia una nocività per la nostra terra, non abbia alcun diritto di occupare le terre espropriate, non debba ricevere alcun finanziamento dal ministero dello sviluppo economico, dal ministero dell’istruzione, dalle autonomie locali o dalle regioni.
Oggi è stata una giornata fantastica, purtroppo alla fine mi sono scordato quanto un paese possa essere militarizzato, anche a causa della presenza dei soldati, sono stato fermato senza motivo per più di mezz’ora nel mentre che chiacchieravo con le persone del paese. Mi sono trovato in una situazione di imbarazzo totale al quale i paesani non sapevano come rapportarsi e nel quale chi mi ha fermato ha, in maniera ambigua, portato avanti una condotta abusante per troppo tempo.
Oggi e domani sono ancora qui, fiero che dentro a foras, che è l’unico movimento attivo che lotta contro le basi militari, ci sia un dibattito sul ruolo dei militari nella nostra terra.
Domenica 6 ci sarà l’assemblea generale, probabilmente questo dibattito non sarà all’ordine del giorno, ma l’organizzazione, l’ attivismo e la lotta per una Sardegna migliore e libera sarà sempre il primo punto.
Ainnantis”.

+ Ospedali – Militari / Capo Frasca / 19 Novembre / Stop Esercitazioni

Stop esercitazioni: i soldi risparmiati vadano alla sanità pubblica!

A distanza di pochi mesi dalla prima ondata della pandemia da Covid-19 la sanità sarda è sprofondata in un abisso di disorganizzazione e mancanza di risorse, tenuta in piedi solo dalla buona volontà degli operatori sanitari. Le nefaste conseguenze della seconda ondata si ripercuotono su tutti i cittadini e le cittadine sardi a causa, soprattutto, della miopia delle istituzioni politiche regionali e statali.
Eppure, fin dal primo ottobre tutte le basi militari italiane in Sardegna hanno ripreso a ospitare esercitazioni a fuoco a cadenza quasi quotidiana, con uno sperpero di milioni e milioni di euro. A questo quadro si aggiunge la scelta del governo, nelle bozze sull’utilizzo del Recovery Fund, di spendere ben 30 miliardi nel settore della Difesa.
Come movimento che si oppone all’occupazione militare della Sardegna, A Foras non può chiudere gli occhi di fronte a questa situazione disastrosa.
Per questo abbiamo deciso di riunirci venerdì 20 ottobre alle 15 davanti all’ingresso della base di Capo Frasca, nel pieno rispetto di tutte le misure necessarie a garantire la sicurezza dei partecipanti da eventuali contagi, per discutere e ribadire le richieste che già avevamo avanzato la scorsa primavera:
• Chiediamo che fin da ora si stabilisca inderogabilmente una moratoria su tutte le esercitazioni militari.
• Chiediamo che la Regione e lo Stato ritirino i finanziamenti a progetti utili solo agli interessi delle forze armate e al profitto delle industrie del settore bellico. A titolo di esempio, chiediamo lo stop al finanziamento del progetto SIAT di Teulada, al co-finanziamento pubblico della piattaforma per i test dei motori missilistici nel Poligono di Quirra e al co-finanziamento del progetto Caserme Verdi, che riguarda – in Sardegna – le tre caserme dell’Esercito a Cagliari e quella di Teulada.
• Chiediamo che i soldi risparmiati grazie ai primi due punti siano reinvestiti nel potenziamento della sanità pubblica sarda.

È una questione di priorità: non è possibile continuare ad assistere allo sperpero dei nostri soldi in progetti che contribuiscono alla depressione economica delle comunità a cui apparteniamo e alla devastazione della terra in cui abitiamo, mentre la sanità viene costantemente depotenziata da anni, con i risultati evidenti sotto gli occhi di tutti.

Giovedì 19 novembre 2020 ore 15:00 davanti al Poligono di Capo Frasca – Sant’Antonio di Santadi

SIT IN A NUORO _ SOLIDARIETÀ A BAKIS BEKS

 

SIT-IN di solidarietà a Bakis Beks, venerdì 11 settembre ore 18:30, piazza Vittorio Emanuele Nuoro.

 

Passione civile e talento sono tratti che hanno fatto risaltare sulla scena rap un artista come Bakis Beks, che da tempo mostra sui palchi la creatività e il coraggio di esprimere, attraverso la forma d’arte che sente più vicina, la propria opinione e il proprio pensiero.

Anche per questo motivo ha destato un coro di indignazione, specialmente nella comunità nuorese, la notizia che Bakis insieme ad altri giovani siano stati colpiti da un inqualificabile atto repressivo, con un decreto penale di condanna che li ha raggiunti a seguito di un concerto rap.

Le forze repressive hanno ritenuto di incriminare le parole di una canzone in cui Bakis ha cantato tutta la sua contrarietà alla presenza dei poligoni militari in Sardegna: “non c’è tempo per mediazioni – indennizzi – conciliazioni – questo è un messaggio ai coloni – basta, fuori dai coglioni!”.
Ad essere incriminata è anche la coreografia che accompagna il testo musicale ovvero “il dito medio”, comune espressione di denuncia degli artisti rap.

A detta degli inquirenti che erano presenti al concerto l’8 settembre 2018 a Nuoro, quelle parole e quella coreografia sarebbero state espresse oltraggiosamente contro di loro.

Tra qualche mese per il cantante ed alcuni fan si aprirà un processo presso il Tribunale di Nuoro, nel quale verrà messa in discussione la libertà di espressione e la libertà dell’arte.

Il rap non è mai stato un genere musicale “politicamente corretto” e del resto la libertà di opinione è un diritto particolarmente sentito in una terra come la nostra, che soffre profondamente il ruolo subalterno che le viene assegnato come una condanna inesorabile, in nome di potenti interessi economici esterni.

Mettere il bavaglio all’arte è un atto riprovevole che abbiamo il dovere di contrastare se vogliamo intraprendere la strada del progresso e della costruzione di una società consapevole.

Per denunciare quanto è accaduto l’Associazione Libertade, A Foras Barbagia-Baronia e lo Spazio Antifascista di Nuoro, indicono un sit-in in piazza Vittorio Emanuele venerdì 11 settembre alle 18:30, invitando tutti i cittadini e gli artisti sardi a partecipare portando la loro vicinanza a tutti i giovani che sono coinvolti in questa vicenda.

 

Evento facebook: SIT IN A NUORO – SOLIDARIETA’ A BAKIS BEKS

#solidarietà

#bakis

#aforas

#libertade

#spazioantifascista

Richiesta sorveglianza speciale per 5 indagati dell’operazione Lince

SOLIDARIETÀ E COMPLICITÀ DA PARTE DI A FORAS

Ci risiamo, dopo le accuse di terrorismo, 5 compagni bersagliati dalla repressione per la loro lotta contro le basi militari sono stati fatti oggetto di una richiesta di sorveglianza speciale da parte della Procura di Cagliari. Non è la prima volta che questo strumento repressivo, finalizzato a emarginare chi lo riceve e a rendergli la vita impossibile, colpisce chi lotta contro le basi in Sardegna.

Non possiamo lasciare solo chi è vittima di questa repressione, perciò vi invitiamo a manifestare la vostra solidarietà e a far conoscere questa vicenda.

Cogliamo l’occasione per esprimere solidarietà anche agli altri 40 indagati nell’operazione che ha cercato di intimidire il movimento prima della manifestazione del 12. I numeri parlano chiaro: non ci sono riusciti. E non riusciranno a fermarci.