Mentre un centinaio di persone, fuori dal poligono di Capo Frasca, denunciavano le contraddizioni di un sistema che spende miliardi per la difesa e taglia sulla sanità, in Consiglio Regionale si metteva in scena il teatrino di una mozione di sfiducia a Christian Solinas il cui esito negativo era stato ampiamente previsto da molti e che anzi, alla prova dei numeri, ha mostrato una minoranza ancora più debole, con 19 voti contro i 24 che avrebbe dovuto avere.
Differenze e distanze. Quelle che ci sono fra i cittadini, molti più di quelli che ieri sono riusciti a essere presenti fisicamente a Capo Frasca, consapevoli dei veri problemi della Sardegna e una classe politica attorcigliata su se stessa, sempre pronta ad assolversi e a ridurre questioni profonde a beghe politiche fra partiti che, alla fine dei conti, servono solo ad aggirarne la radice.
Parliamo a ragion veduta, perché, da destra a sinistra, quasi tutti i partiti italiani in Sardegna e molti dei partiti sardi, esclusi quasi tutti gli indipendentisti, hanno sull’occupazione militare dell’isola la medesima posizione: far finta di nulla. Si svegliano quando c’è da richiedere gli indennizzi in ritardo, talvolta alzano la voce per dire che la tale spiaggia va restituita alle popolazioni locali (e ai turisti, ovviamente!), ma sul problema strutturale tacciono. Persino una posizione molto riduttiva, come quella sostenuta da una parte del Pd, che puntava all’eliminazione di Capo Frasca e Capo Teulada e al potenziamento del Poligono di Quirra, è stata superata dalla giunta Pigliaru che, con il suo accordo firmato insieme al ministero della Difesa, ha sancito il mantenimento dello status quo: la Sardegna come poligono di tiro delle forze armate italiane, Nato e dell’industria bellica.
Noi invece non siamo miopi. Sappiamo che l’occupazione militare della Sardegna è una delle questioni principali per il futuro di chi vive in quest’isola, ma sappiamo anche che è legata a tante altre problematiche. Per questo da anni, e ancor di più con l’arrivo del Covid, abbiamo posto il problema dei rapporti tra spesa militare e spesa sanitaria. Per questo abbiamo organizzato in primavera la fortunata campagna “Più ospedali meno militari” e ieri abbiamo messo in piedi il sit in davanti al poligono di Capo Frasca.
Vogliamo ringraziare chi ieri è venuto di fronte alla base, ma anche chi ci ha sostenuto a distanza. Ieri numerosi interventi hanno raccontato la realtà della Sardegna, dove le terapie intensive stanno andando in saturazione e si scopre all’improvviso l’importanza vitale di quegli ospedali chiusi negli ultimi anni per le politiche scellerate dei vari governi e giunte che si sono susseguiti. Una realtà che in tanti denunciano da mesi e che in parte potrebbe essere resa meno dura dirottando i milioni sprecati in esercitazioni sul potenziamento della sanità pubblica.
Non ci dobbiamo fermare, anzi dobbiamo unire gli sforzi con tutti coloro che lottano per una Sardegna migliore.
Per questo ricordiamo l’appuntamento di stasera alle 16 a Cagliari con il Transgender Day of Remembrance in piazza Garibaldi. La lotta per un Sardegna migliore è una lotta che deve accomunare chiunque e deve puntare a una vita migliore per le persone, libere di vivere il proprio orientamento sessuale e di genere.
Per questo segnaliamo la manifestazione prevista per domani, sabato 21 novembre, alle 15 in via Roma, sotto il Consiglio regionale, organizzata dalla rete sarda “Società della cura”.
La società della Cura in Sardegna chiede l’attuazione di alcuni provvedimenti immediati: Reddito per tutte e tutti con aiuti adeguati fino alla fine dell’emergenza sanitaria; una politica di integrazione e di pieno sostegno per i cittadini che vivono in Italia e non hanno la cittadinanza italiana; vigilanza costante sul rispetto delle misure di prevenzione, salute e sicurezza in tutti i luoghi di lavoro; investimenti e assunzioni a tempo indeterminato per garantire sanità e istruzione pubbliche, infrastrutture sociali, accoglienza, casa, trasporti; un piano di prevenzione primaria a tutela di salute, vita, beni comuni e territorio.
Per la rete sarda della Società della Cura le risorse ci sono e vanno recuperate attraverso: Una tassa patrimoniale su tutte le rendite che superano il milione di euro; taglio drastico alle spese militari ed affini; abrogazione dei sussidi ambientalmente dannosi, tasse sulle emissioni di gas climalteranti e sulla plastica monouso; blocco delle opere -grandi e piccole- dannose per l’ambiente, il clima e la salute e l’utilizzo fondi di Cassa Depositi e Prestiti per gli investimenti pubblici sui servizi.
E infine ricordiamo che il 19 e il 27 gennaio, sempre a Cagliari davanti al tribunale, ci ritroveremo per manifestare solidarietà a chi è rimasto vittima del sistema repressivo dello stato italiano per il suo attivismo contro l’occupazione militare della Sardegna. Parliamo dei 45 attivisti contro le basi indagati nell’Operazione Lince, accusati di vari reati che arrivano fino al terrorismo, che il 27 dovranno affrontare l’udienza per il rinvio a giudizio e di quei 5 che il 19 gennaio saranno sottoposti all’udienza che deciderà se accogliere la richiesta di sorveglianza speciale. Una misura violenta e antidemocratica, che rende la vita delle persone coinvolte un incubo senza passare nemmeno per quelle poche garanzie che offrono i processi. Non dimentichiamo, a questo proposito un’altra contraddizione: mentre i magistrati si accaniscono contro gli attivisti che si oppongono alle basi, contemporaneamente chiedono l’archiviazione per il disastro ambientale verificatosi all’interno del poligono di Teulada a causa delle esercitazioni. Lo Stato si assolve sempre.