Ribaltiamo il 4 novembre e la finta pace!


Anche questo 4 novembre ci ritroveremo circondati dalle celebrazioni muscolari della forza militare italiana, tra fanfare e parate di mezzi corazzati. Anche quest’anno i militari saranno osannati come grandi eroi della patria e, in un ribaltamento totale della realtà, indicati come l’unica via per il raggiungimento della pace. Anche quest’anno la retorica bellica nazionalista proverà a convincerci che i militari inviati in Iraq e Afganistan ieri, in Libano oggi e a Gaza forse domani, non sono andati in guerra, ma in “missioni di pace”. Una pace coloniale, costruita su tonnellate di macerie e centinaia di migliaia di cadaveri, nella totale impunità di criminali di guerra come Blair, Bush e Netanyahu.


Fortunatamente anche quest’anno il movimento contro l’occupazione militare della Sardegna e soprattutto il grande movimento popolare di solidarietà nei confronti del Popolo Palestinese non cascheranno in questo vecchio giochetto. Le piazze per la Palestina che da ormai due mesi affollano le nostre città e i nostri paesi sanno bene che la pace non si costruisce con la forza e con le armi (e gli eserciti) occidentali. Sanno che lo stato italiano ha interessi economici da difendere (o conquistare): vedi ENI e WeBuild; alleanze militari imposte dall’alto da rispettare: vedi NATO; industrie “strategiche” da difendere: vedi LEONARDO. Le piazze auto organizzate che hanno superato le grandi organizzazioni partitiche e sindacali sanno anche che la pace non nascerà certo dall’alto grazie ai patti mafiosi di Trump, ma si costruisce tutti i giorni dal basso. Qua in Sardegna la pace si costruisce chiudendo le basi militari dove si preparano le guerre e il genocidio palestinese per mano dell’Israel Defence Force, che qui è di casa a Decimo, come lo è stata per anni a Capo Frasca e Quirra. Si costruisce bloccando gli accordi di ricerca tra università sarde e israeliane. Si costruisce chiudendo la fabbrica di bombe RWM di Domusnovas che produce i droni israeliani. Si costruisce dicendo un forte NO alla sua espansione, decisione che ora è in mano a una Regione governata da forze che a parole si dicono contro il genocidio, e speriamo che ai gesti simbolici ne segua ora uno effettivo e reale.


La pace si costruisce banalmente smettendo di vendere armi a Israele, oltre che isolandola diplomaticamente ed economicamente. Liberandoci della filiera bellica sarda e del suo conseguente sottosviluppo contribuiremo alla liberazione della Palestina e di tutti gli altri popoli oppressi dall’occidente, oltre che alla nostra.


Ma ad essere liberate devono essere prima di tutto le nostre menti. Liberiamoci dalla narrazione dominante che celebra ogni anno la forza e l’onore militare, la stessa che chiama eroi i militari morti durante le missioni coloniali in Medio Oriente. Ad ammazzare i militari sardi e italiani a Nassirya non sono state le forze locali di resistenza irachena, ma gli interessi politici e industriali italiani che li hanno mandati in un posto in cui non dovevano essere. Esattamente come i sardi mandati sul fronte austriaco nella prima guerra mondiale non sono morti per l’italia, ma per la sua borghesia industriale. Ora, come cento anni fa, l’Europa tutta si sta riarmando, e il motivo è sempre lo stesso: dar fiato a un complesso industriale in crisi, la cui unica via d’uscita paventata è la riconversione bellica, e soprattutto a una classe dirigente priva di una direzione politica, incapace di dare risposte a qualsiasi esigenza sociale, in cerca di un nemico per compensare la sua crescente mancanza di legittimità democratica.

La narrazione bellica e l’aria di guerra stanno ormai invadendo tutta la società, a partire dalla scuola. Il Ministero dell’istruzione, mentre spinge sempre più i programmi di propaganda e arruolamento interni agli orari curricolari degli istituti scolastici, ha infatti appena annullato la formazione per docenti “4 novembre, la scuola non si arruola”, tentando di delegittimare l’esercizio della critica alla deriva in atto da parte del personale scolastico. Anche per questo il 4 novembre dobbiamo stringerci vicini a tutti i docenti e gli studenti che si oppongono a tutto ciò.

Per tutte queste ragioni invitiamo a disertare e boicottare tutte le manifestazioni militari del 4 di novembre e invece partecipare alle piazze che resistono, per la Palestina e per una Sardegna e una scuola libere dalla narrazione bellica dominante.

A FORAS!

Riprenderci il territorio: un’escursione nel territorio del PISQ

Domenica scorsa con alcunə compagnə di A Foras abbiamo partecipato ad un’ escursione naturalistica nel Poligono di Quirra, col desiderio di iniziare a riprenderci la Sardegna a partire dalla conoscenza dei suoi monumenti storici e delle sue bellezze ambientali, proprio dove sono maggiormente minacciate.

Questa volta abbiamo iniziato dalla zona del “Poligono a mare” del PISQ.

Siamo partiti da Quirra, una frazione del comune di Villaputzu costituita da case sparse, che confina con il “Distaccamento di Capo San Lorenzo” e la fabbrica di armi della Leonardo S.P.A.

In questa zona ci sono moltissimi resti archeologici di tutte le epoche, fra cui diversi nuraghi, domus de janas, alcune chiesette romaniche e il castello medievale che si affaccia sull’entroterra e domina la valle alluvionale che scende al mare di Murtas.

Il castello di Quirra fu costruito dai giudici di Càlaris nel XII secolo e in seguito fu proprietà di Nino Visconti prima di essere incamerato nei domini di Pisa in Sardegna verso il 1296.

Fu conquistato dagli aragonesi dopo un lungo assedio nel 1324 e fu teatro di diversi scontri con i giudici di Arborea.

Appena sotto il castello inizia la zona del Poligono Militare, che coincide per oltre due terzi con il Sito di Interesse Comunitario “Stagni di Murtas e S’àcua durci”.

Questa zona, con la spiaggia di Murtas è interdetta dal 1 ottobre al 1 giugno.

In seguito all’accordo fra la Regione e il Ministero della Difesa, erano stati aperti alcuni chioschi lungo la spiaggia che sembravano poter contribuire a creare un’ economia alternativa, dove in passato c’era solo l’indotto legato alla base, che soffoca l’economia locale e al tempo stesso illude i sardi di tenerli in vita.

Purtroppo la scorsa estate non sono state più rilasciate concessioni e quindi al momento non esiste nessuna struttura di ristorazione nella zona, eccetto quella che serve i militari e gli operai della Leonardo.

La nostra escursione è terminata alla Torre Spagnola di Murtas, da dove si può vedere la rampa su cui vengono testati i vettori aerospaziali, con la dispersione nell’ ambiente di enormi quantità di sostanze inquinanti.

Da lì purtroppo siamo dovuti tornare indietro, ma siamo sempre più convinti che dobbiamo vedere nostra terra libera, senza più filo spinato e stagioni delle bombe.

Sulle macerie e sulle coste – Dal colonialismo genocidario israeliano alla villeggiatura in Sardegna

I fatti, più o meno, li conosciamo. La popolazione palestinese sta subendo un genocidio da parte dello stato di Israele, appoggiato da complici occidentali. La soluzione finale è in corso, come dichiarato dal Primo Ministro israeliano Netanyahu. La guerra di Israele contro la Palestina dura da più di settant’anni, con dei picchi di sterminio che partono dalla Nakba e che oggi superano qualsiasi misura mai conosciuta prima. E da allora la popolazione palestinese resiste.

Cosa farne di una terra devastata non è mai stato un gran problema per lo Stato Ebraico. Da mesi si chiacchiera del progetto di costruzione della cosiddetta “Gaza Riviera”, che ora sembra concretizzarsi attraverso un piano di investimenti da parte di Israele e USA: il Washington Post ha reso noto che il Gaza Reconstitution, Economic Acceleration and Transformation (GREAT) è stato effettivamente steso in un documento di 38 pagine.

Ufficialmente “trasferimenti temporanei” e “partenze volontarie”, sono di fatto una deportazione degli oltre 2 milioni abitanti della Striscia a seguito di una guerra che ha raso al suolo il territorio palestinese e sterminato la sua popolazione.

La guerra di Israele alla popolazione palestinese è sempre stata riconosciuta nella sua natura di guerra di insediamento coloniale per la realizzazione di un progetto etno-nazionalista, fondamentalista religioso, con la speficifica caratteristica di essere un solido baluardo capitalista occidentale nei paesi arabi. Cosa significa tutto questo è disvelato dagli espliciti discorsi sionisti, dal pronunciato odio verso la popolazione araba, dalla tecnologia militare e dal coinvolgimento totale della popolazione civile israeliana nella guerra. E ultimo, ma non per importanza, dai piani di ricostruzione del futuro della Striscia – futuro di cui i coloni israeliani si sono appropriati- e tra questi piani spicca appunto il GREAT.

Così Israele si presenta come avanguardia colonialista per eccellenza, con il caratteristico sincretismo di lusso, investimenti immobiliari, turismo, Hi-tech, tutto sotto stretta sorveglianza militare.

Arriviamo al dunque. C’è un filo nemmeno troppo sottile che collega l’industria del turismo di lusso modello israeliano e la Sardegna. Proprio questa estate, mentre a Gaza prosegue il genocidio, viene fatto su un mega yatch a largo della Costa Smeralda un summit con Steve Witkoff, rappresentante diplomatico statunitense, il primo ministro del Qatar e il ministro israeliano Ron Dermer, annunciato come una trattativa per il cessate fuoco a Gaza e conclusosi con un nulla di fatto ma con i tratti di una piacevole villeggiatura.

E’ stata poi annunciata per giugno l’inaugurazione della nuova tratta diretta Olbia-Tel Aviv, rinforzata da controlli speciali su passeggeri e bagagli, che saranno gestiti in collaborazione con le autorità israeliane, ovvero agenti in borghese – con tutta probabilità, ci sentiamo di aggiungere, agenti del Mossad.

La popolazione sarda durante gli ultimi mesi ha manifestato più volte in mille contesti e con mille strumenti differenti la propria solidarietà verso il popolo palestinese. Una solidarietà fatta da piccole azioni spontanee e individuali come l’esibizione di bandiere e striscioni durante le feste popolari e di mobilitazioni più strutturate da parte del mondo dell’associazionismo, dell’antagonismo, delle realtà politiche indipendentiste e della sinistra di classe fino ad arrivare al mondo cattolico. Anche nel caso degli arrivi da Tel Aviv questa solidarietà non è venuta meno e già dal primo arrivo, in data 27 agosto 2025, i turisti sionisti hanno trovato un nutrito comitato di accoglienza a destinazione. Durante il presidio di domenica 31 agosto circa 200 manifestanti sono addirittura riusciti a bloccare per 3 ore il transito dei turisti israeliani verso il loro hotel, ricevendo sostegno e solidarietà dal personale aeroportuale e da tanti altri turisti in transito all’aeroporto di Olbia. Come spesso accade, in funzione dell’arrivo del 4 settembre, probabilmente sotto pressioni del Mossad, la polizia italiana si è dotata delle dovute contromisure schierando l’antisommossa e scortando gli autobus del turismo sionista fino al loro hotel, arrivando addirittura a identificare 5 cittadine (di cui un bambino) che semplicemente passeggiavano in aeroporto perché riconosciute come solidali alla causa palestinese.

La scelta della Sardegna come avamposto di villeggiatura e riposo per civili e militari israeliani non riteniamo sia casuale. Per cominciare, la Costa Smeralda è un baluardo del turismo di lusso, un territorio di fatto inaccessibile alle persone sarde, proibitivo a causa dei costi diretti e indiretti, schiavile nei termini delle condizioni di lavoro con cui nostr3 compaesan3 vengono assunt3 nelle strutture ricettive. Materialmente e moralmente lontano dai nostri desideri su come vivere la nostra terra.

A questo si aggiunge la militarizzazione diretta di così tante aree che qualsiasi destinazione turistica si ritrova confinante con basi Nato o altre strutture militari, dato probabilmente rilevante per chi ne fa una questione di sicurezza in un momento così teso dal punto di vista geopolitico. Togliendo le aree di turismo ad alto impatto e le zone militari, si capisce che a noi resta ben poco.

Un insulto, per noi, essere la destinazione favorita dai coloni israeliani complici del genocidio. Un insegnamento, per loro, su come ri-valorizzare una terra ormai inaridita ma con un grande potenziale di estrattivismo economico. Così si intersecano senza troppi nodi i fili che legano un genocidio, l’economia della guerra, il colonialismo e il turismo. Da grandi condanne derivano grandi responsabilità: fare di tutto per liberare la Palestina è fare di tutto per togliere le basi alle guerre coloniali e ai grandi capitali partendo dai centri economici delle nostre terre occidentali.

La proposta è già in atto ma ha bisogno di qualche chiarimento: l’intento dei presidi e delle azioni di disturbo all’aeroporto non è stato solo quello di esprimere un dissenso, ma quello di portare alla luce dove partono, dove atterrano e che itinerario percorrono i legami dei poteri forti da qui a Gaza.

E’ a proposito di itinerari e ospitanti che ci proponiamo quindi di rendere pubbliche alcune informazioni che abbiamo reperito prima e durante le azioni di disturbo. L’obiettivo sarà quello di rendere la Sardegna un luogo dove i complici del genocidio non siano i benvenuti, e quindi la cancellazione della tratta Tel Aviv-Olbia, il rifiuto da parte delle strutture locali di ospitare e accogliere i responsabili della guerra in Palestina, decostruire il mito dell’industria turistica come possibilità di sviluppo; ma anche trasformare il dissenso e la solidarietà fine a se stessa in mobilitazione contro l’occupazione militare, la fabbrica di bombe RWM di Domusnovas, i rapporti economici fra università e istituzioni con lo stato di Israele, la partecipazione della Brigata Sassari a “missioni di pace” che di fatto sostengono l’occupazione sionista del Libano, il boicottaggio delle merci legate al genocidio. Insomma, lottare per liberare noi stesse e i nostri territori è un contributo attivo e diretto alla libertà del popolo palestinese.

Fondamentale è per questo organizzarsi e sostenere chi di noi persone sarde lavora nel settore della ristorazione o nel settore alberghiero in condizioni contrattuali (o non contrattuali!) pessime, le stesse che non permettono di avere forza sindacale per rifiutarsi di far disossare la nostra terra da chi stermina la popolazione palestinese e dai pesci grossi del turismo. Così come la Sumud Flottilla prende il vento per rompere l’assedio grazie al sostegno di migliaia di persone, ognuna che fa il suo pezzo partendo dal proprio quotidiano e dal proprio luogo di studio o di lavoro, anche la Sardegna ha la responsabilità di aggredire le proprie contraddizioni.

Rinnovando l’invito a prendere contatti e raccogliere informazioni , elenchiamo alcune delle strutture e infrastrutture coinvolte nell’accoglienza di coloni-turisti israeliani

  • Geasar, azienda che gestisce l’aeroporto di Olbia
  • Mangia’s Sardinia Resort, Santa Teresa, Via Antares 1
  • Cantina Surrau, Arzachena, località Chilvagghja
  • Ristorante Pizzeria La Ruota, Arzachena, località Cascioni
  • Phi Beach Club, Baja Sardinia, località Forte Cappellini
  • Boutique del Mar, Palau, località Mannena Spiaggia Bruciata

Questa invece la compagnia che organizza viaggi per i dipendenti del settore della comunicazione hi-tech, Vaad Cellcom:


Alcune di queste strutture, come ad esempio il Mangia’s Sardinia Resort (Aeroviaggi) e il Phi Beach (la cui struttura è proprietà della Regione Sardegna), non rappresentano altro che la forma del colonialismo turistico che noi sarde conosciamo bene e che in questo caso particolare aggravano la loro presenza prepotente sulla nostra terra permettendosi di ospitare coloni di uno stato genocida. Strutture di coloni che ospitano altri coloni e che lucrano da decenni sul nostro territorio in cambio di qualche busta paga da cameriere e lavapiatti. Decostruire il mito dell’industria turistica, smascherarne i ritmi di lavoro disumani, sindacalizzare le lavoratrici, criticarne e combatterne la presenza sul territorio è un obbiettivo urgente che dovremmo porci e quest’ultima gravissima contraddizione ci dà l’occasione di cominciare.

In sostanza, sappiamo che il genocidio inizia anche da qui, da dietro casa nostra, dai porti e aeroporti che visitiamo spesso quando costrette ad emigrare, dai luoghi del lusso della Costa Smeralda, cioè il parco giochi dei coloni per altri coloni, dai poligoni e dalle installazioni militari.
Dunque, cosa possiamo fare noi?
Come anche il BDS suggerisce, le pratiche possono essere tante, diverse e creative.

  • Presidiare e disturbare i luoghi frequentati dai sionisti, affinché sia evidente che il popolo sardo sa cosa succede e di che crimini siano macchiati.
  • Essere presenti agli arrivi da Tel Aviv all’aeroporto di Olbia, sia ai presidi pubblici sia individualmente.
  • Boicottare tutti i locali elencati sopra.
  • Chiedere loro conto della complicità al genocidio: dal vivo, per e-mail, sui social. Intasiamo i loro canali: ospitano e intrattengono criminali di guerra.
  • Fare pressione alle amministrazioni locali e regionali affinché si esprimano e blocchino lo scempio in atto.
  • Diffondere queste informazioni affinché tutte/i possano posizionarsi in merito.
  • Contattarci per segnalazioni a riguardo, locali o strutture coinvolte, aggressioni sioniste ai danni delle lavoratrici in Gallura.
  • Organizzare e partecipare alle mobilitazioni contro la guerra.


La lotta non è semplice, spesso ci sentiamo impotenti di fronte a ciò che accade in Palestina, però sappiamo che non siamo sole: i popoli del mondo intero si stanno schierando con i propri corpi contro il genocidio, in ogni modo possibile. Abbiamo amici dappertutto! I governi sostengono lo sterminio, ma le persone no; sta a noi, con la nostra forza e la consapevolezza di essere dalla parte giusta, riconquistare una vita e una terra di libertà, per noi e per il popolo palestinese. E non solo.



Il silenzio è complicità.
La storia chiederà il conto.

Contra sa gherra
Palestina libera, Sardigna libera

Al Lago Omodeo si continua a sparare

Abbiamo visto nelle scorse settimane come le attività militari, nonostante gli accordi Stato-Regione del 2017, abbiano continuato incessantemente durante i mesi estivi con il semplice escamotage di evitare le attività a fuoco. Ma mentre gli accordi del 2017 quantomeno vincolano i militari per quanto riguarda le attività a fuoco, lo stesso non si può dire per le altre forze armate.

Il Centro Addestramento Istruzione Professionale (CAIP) della Polizia di Stato di Abbasanta, infatti, continua a svolgere “esercitazioni di tiro con armi portatili individuali a tiro teso” nel poligono del Lago Omodeo. Queste attività, svolte tutte le mattine dei giorni feriali (dalle 7:00 alle 14:00) sono continuate per tutto l’anno, con una pausa solo nel mese di agosto. Tra marzo e aprile a queste attività si è affiancata quella dei guastatori direttamente operata dentro il lago.

Le persone che vivono nel territorio segnalano il costante rumore delle scariche di munizioni, ma anche rumori più forti, legati probabilmente all’uso di ordigni esplosivi, come già denunciato dai sindaci del circondario in un documento del 2015. Nel poligono non si addestra solo la polizia, ma anche le altre forze armate e contingenti provenienti da paesi esteri. Da un articolo celebrativo del Corriere della Sera del marzo 2024 apprendiamo che in loco si sono addestrate polizie di regime provenienti da mezzo Mediterraneo: Libia, Serbia, Tunisia, Egitto, Emirati Arabi Uniti. Evidentemente il servizio di scorta, punta di diamante delle attività addestrative del CAIP, è un servizio molto richiesto da oligarchi e dittatori.

Attualmente la mancanza di trasparenza sul tipo di attività che vengono svolte nel CAIP (chi si addestra, quando, il tipo di strumentazione e munizioni utilizzato, i rischi per l’ambiente) è pressoché totale, e riflette il consueto disinteresse verso il territorio e le garanzie di controllo democratico delle forze armate tutte. Anche l’utilizzo e la devastazione di spazi del territorio, come ad esempio il villaggio ex-ENEL di Santa Chiara, non risulta formalizzato in alcuna maniera. Le servitù legate al CAIP sono tante e variabili a seconda delle esigenze della Polizia di Stato, insomma, in un contesto di totale mancanza di trasparenza.

Il poligono all’aperto del CAIP, considerato il “fiore all’occhiello” della struttura, si trova nei pressi del comune di Soddì, su un promontorio che domina la costa del Lago Omodeo, e offre una visuale su gran parte della sua area. L’area è situata dentro la Zona Speciale di Conservazione (ZSC) ITB031104 “Media Valle del Tirso e Altopiano di Abbasanta-Rio Siddu”, che ricomprende tutto il Lago Omodeo. Come per Capo Teulada, Capo Frasca, l’area di Capo San Lorenzo, La Maddalena, la sovrapposizione tra aree militarizzate e zone di protezione ambientale è una regola dell’occupazione militare della Sardegna.

L’attuale poligono è dotato di parapalle, dune di sabbia che dovrebbero garantire la mancata dispersione dei bossoli nell’ambiente. Secondo l’articolo del Corriere citato in precedenza, i bossoli verrebbero contati uno per uno per essere recuperati. Ci permettiamo di esprimere quantomeno scetticismo su questa evenienza: la zona interdetta al passaggio dei civili durante l’addestramento è infatti molto più ampia del poligono, questo perché evidentemente esiste la possibilità della dispersione di proiettili fuori bersaglio, i quali sono destinati a ricadere sulla superficie del lago.

Non conoscendo nel dettaglio le attività poste in essere dentro il poligono, non abbiamo modo di sapere quanto sia grave e reiterata questa forma inevitabile di inquinamento.

Va da sé che il Lago Omodeo è il principale bacino idrico della Sardegna, la sua importanza è enorme dal punto di vista dell’approvvigionamento di tutta la Sardegna centro-occidentale, e il fatto che si sia sparato e si spari dentro e intorno a questo bacino è una palese assurdità e mancanza di buonsenso.

La distesa di bossoli che riemerge nei periodi di secca dal fondale del Lago Omodeo

L’attuale poligono ne sostituisce uno precedente situato sulla sponda opposta del Lago Omodeo, nei territori dei comuni di Sorradile e Bidonì. Questo poligono è stato chiuso nel 2004, ma l’eredità ambientale dei rifiuti abbandonati o sepolti sul fondo del lago permane ancora oggi. Occasionalmente lo scandalo della distesa di bossoli e ogive che riemerge dal fondo del lago in secca riemerge sui media, ma ancora ad oggi nessuna procedura di bonifica è stata attuata. Per decenni non si è adottata nessuna azione di mitigazione del danno ambientale, e anzi si è lasciato i rifiuti delle attività addestrative in loco, confidando di averli sepelliti per sempre nel fondo del lago. Il lago infatti è rimasto in collaudo per decenni, e ancora oggi non raggiunge la capienza che avrebbe in teoria dovuto raggiungere con la costruzione della nuova diga. Fosse stato sfruttato a pieno regime, oggi non avremmo modo di raccogliere testimonianza delle attività svolte nel poligono del CAIP tra gli anni sessanta e il 2004.

Per svolgere in ZSC attività con un rischio elevato di impatto ambientale, quali sono quelle addestrative a fuoco delle forze armate, bisognerebbe svolgere una Valutazione di Incidenza Ambientale (VINCA) che tenga conto degli impatti cumulati dall’attività in oggetto nel tempo e nello spazio. Ad oggi non è mai stata presentata nessuna richiesta di VINCA da parte delle autorità competenti per le attività nel poligono

Nel Piano di Gestione della ZSC, aggiornato con decreto dell’Assessore per la difesa dell’ambiente della Regione Sardegna del 9 novembre 2023, i due poligoni sul Lago Omodeo sono citati come elementi di impatto per la “riduzione e/o perdita di qualità dell’habitat di specie”, con riferimento particolare al rischio di inquinamento delle acque del lago dovuto alla dispersione di bossoli e materiali utilizzati durante le esercitazioni.

Un elemento invece sottovalutato, e che pensiamo dovrebbe avere una valutazione propria, è quello dell’inquinamento acustico dovuto all’attività di fuoco pressoché ininterrotta per tutte le ore mattutine dei giorni feriali, la quale comporta sicuro stress per tutte le specie animali, compresa la specie umana.

Come azioni per mitigare gli impatti dovuti alle attività del CAIP nella ZSC, sono previste dal Piano di gestione due azioni differenti: per l’area del vecchio poligono si prevede di procedere con le operazioni di bonifica dell’area inquinata, per il nuovo poligono si prevede di stilare un disciplinare d’uso condiviso con le amministrazioni locali, che consideri anche l’uso di siti alternativi per le esercitazioni. Ambedue queste azioni non sono state ancora attivate, nonostante siano previste come prioritarie e inserite in un cronoprogramma di rispettivamente due e tre anni dall’approvazione del Piano di Gestione. L’ostacolo principale a queste azioni è la necessità di interfacciarsi con il Ministero dell’Interno e la mancanza di una previsione di spesa utile a reperire risorse nei bilanci dello stato. L’inerzia politica dell’ente regionale probabilmente costituisce un altro ostacolo.

Come A Foras mettiamo in questione l’utilità di strutture come il CAIP e il suo poligono, o la necessità di avere quel tipo di struttura in quello spazio preciso. Da troppo tempo l’utilità e la necessità di queste strutture è totalmente sottratta al discorso politico, per essere abbandonata al monologo delle istituzioni interessate: ministeri, prefetture e corpi delle forze armate. Certamente, visto la limitata dimensione del poligono, il suo spostamento in area più idonea sarebbe anche un fatto facile. Ma per noi la questione va oltre un semplice spostamento, che sposterebbe solamente i problemi altrove.

Riteniamo che ci sia una grave questione politica a monte, quella della trasparenza e del controllo democratico sull’operato delle forze armate. È assurdo che anche fatti di minimo buonsenso risultino totalmente estranei al dibattito pubblico, quando si tratta delle forze armate. Non è normale che si rischi di inquinare a casaccio un bacino idrico strategico per la popolazione, che non si pulisca lo schifo lasciato in 40 anni di attività irresponsabili, che non ci si senta minimamente in dovere di sanare e risarcire il danno fatto. Non dovrebbe essere normale che le attività delle forze armate si svolgano al di sopra e aldilà della legge che vige per il resto della popolazione.

Pretendiamo che vengano svolte le procedure di Valutazione di Incidenza Ambientale per l’attività del poligono del CAIP, e che queste procedure vengano svolte non come pro-forma, ma con attenzione alla sostanza delle necessità di protezione ambientale che presiedono all’istituzione delle Zone Speciali di Conservazione.

Pensiamo che in generale si debba aprire un dibattito complessivo e aperto sul ruolo e la presenza delle forze armate in Sardegna: se l’occupazione militare e l’ipertrofia degli apparati legati alla Difesa è un fenomeno abbastanza conosciuto e dibattuto, manca consapevolezza e dibattito sulla presenza e il ruolo degli apparati di sicurezza legati al Ministero degli Interni, spesso non meno ingombrante e fuori luogo.

A Teulada l’occupazione militare non va in vacanza

Da qualche anno, rispondendo alla pressione dei movimenti contro l’occupazione militare della Sardegna, le Forze Armate commissionano studi di campionamento sui valori soglia di inquinanti derivanti dalle attività a fuoco. Tutto questo avviene in un contesto di scarsissima trasparenza, con leggi e regolamenti che consentono a chi svolge le attività inquinanti di monitorare il proprio stesso inquinamento dove e quando vuole farlo, e svolgere una “bonifica” secondo termini e condizioni decise da sé senza il controllo di entità indipendenti.

È in questo quadro che dobbiamo leggere la ordinanza prefettizia del 18 luglio che ha interdetto le aree del Poligono di Capo Teulada date in concessione per attività agropastorali, lasciando invece a disposizione della Difesa le aree per il suo uso eclusivo. Un’ordinanza cautelativa a fronte del superamento dei valori soglia per cadmio, piombo, arsenico e tallio che riguarda varie aree del Poligono. Un’ordinanza tanto cautelativa che, apprendiamo dall’Unione Sarda, risponde a campionamenti effettuati 6 mesi prima!

I valori soglia sono stati superati applicando tabelle destinate alle zone industriali, con valori fino a 100 volte più elevati della norma per una zona agricola, grazie ad un favore del governo Renzi alla lobby della Difesa. Era il 2014, nel pieno del processo e dell’indagine per disastro ambientale rispettivamente nei poligoni di Quirra e Capo Teulada, quando si è consentito con un tratto di penna di modificare i valori soglia applicabili per le zone militari, nonostante all’interno dei poligoni insistano Zone di Conservazione Speciale (ZCS) facenti parte della Rete Natura 2000, considerate importanti per la conservazione di Habitat e specie animali endemiche e a rischio.

Si sperava evidentemente di mettere a tacere una volta per tutte le problematiche relative all’inquinamento dovuto alle attività militari. Ci si sbagliava anche così, ma noi non possiamo dimenticare questo sfregio del diritto: i valori soglia che stanno venendo applicati sono totalmente incompatibili con una Zona di Conservazione Speciale come quella “Isola Rossa e Capo Teulada” al 90% ricompresa nel poligono, o come quella “Promontorio, dune e zona umida di Porto Pino” che al poligono è adiacente. Questi valori soglia sono totalmente incompatibili con aree nelle quali viene consentito il pascolo degli animali, con aree nellle quali d’estate si consente il transito dei turisti e la balneazione. Usare valori soglia del genere è già, di per sé, un cosciente mettere a rischio la salute di persone e animali, un sintomo di disprezzo per il territorio e chi lo abita.

Da febbraio giace negli uffici della Regione Sardegna una procedura di Valutazione di Incidenza Ambientale (VINCA) per le attività del poligono di Capo Teulada. In un documento di 35 pagine abbiamo espresso tutti i motivi per cui le attività del poligono di Capo Teulada sono incompatibili con qualsiasi attività di conservazione ambientale. L’applicazione di valori soglia di contaminazione applicati per le zone industriali è uno dei motivi più chiari ed evidenti di incompatibilità. Il loro superamento un motivo in più per chiedere alla Regione di fare presto, e chiudere questa procedura con un diniego.

Apprendiamo dall’Unione Sarda (la quale ha avuto accesso ai documenti del monitoraggio dell’esercito) che l’inquinamento diffuso nel poligono apparirebbe “inspiegabile”, in particolare per la presenza di metalli pesanti in aree nelle quali non si spara, e che si ipotizzerebbe dei movimenti di terra da una parte all’altra del poligono. Noi una spiegazione semplice per questi movimenti di terra la abbiamo: le esplosioni. Lanciare decine di migliaia di proiettili da terra, aria, mare, di qualsiasi calibro, comporta un enorme movimento di terreno dovuto alle esplosioni. Questa terra non si deposita in situ, ma si muove con i venti e le correnti d’aria, per un perimetro molto ampio, che può tranquillamente eccedere i confini dell’area militarizzata. In sede di VINCA, l’esercito ha totalmente ignorato gli impatti ambientali dovuti alle esplosioni del munizionamento durante le esercitazioni, noi così ci esprimevamo su questo fatto:

Le esplosioni sono di per sé un trauma ambientale che viene inflitto al paesaggio e all’ambiente che non riguarda solamente il cono direttamente interessato dall’esplosione: le esplosioni derivanti dall’impiego di bombardamenti e altri sistemi d’arma generano, a causa delle elevatissime temperature raggiunte in fase d’urto, delle polveri estremamente sottili e penetranti che condensandosi costituiscono le nanoparticelle (che viaggiano e si depositano nell’ambiente, potendo essere ingerite tramite il cibo ovvero inalate) che hanno la caratteristica di essere inorganiche e non biocompatibili. Queste possono depositarsi anche a notevole distanza dai luoghi dell’esplosione, costituendo una sicura causa di inquinamento. D’altronde l’impatto al suolo dei proiettili di grosso calibro comporta, oltre alla distruzione del suolo legata all’esplosione, ulteriori disturbi a più ampio raggio dovuti alle vibrazioni. Queste attività, al dunque, distruggono e sottraggono spazio vitale alle specie oggetto di protezione, intaccando gli spazi di rifugi, tane, nidi, le aree di riproduzione, le aree di diffusione delle specie vegetali, i suoli. Inoltre, è evidente la presenza costante del rischio di uccisione diretta, in seguito agli effetti delle esplosioni, al colpimento di proiettili vaganti, all’impatto con i mezzi in manovra (a terra, in cielo e in mare). Questi fatti piuttosto ovvi sono completamente e inspiegabilmente ignorati”

Noi non abbiamo attualmente ancora modo di sapere dove e come siano stati svolti i campionamenti e, soprattutto, come e dove verranno svolti i futuri campionamenti per confermare o meno l’inquinamento. La mancanza di trasparenza di tutto il processo di governance è un fattore in più di incompatibilità della presenza militare con qualsiasi gestione sostenibile del territorio.

Questa situazione di opacità si presta a qualsiasi abuso e gioco di potere da parte delle forze armate: è evidente come pubblicare a luglio dati di campionamenti presi a gennaio si presti ad un gioco di ricatto verso il territorio, ma è comunque desolante apprendere che la preoccupazione principale dei rappresentanti eletti nel Comune di Teulada sia quella del “danno di immagine” nel pieno della stagione turistica, invece che la generale situazione di inquinamento e sottomissione alle esigenze militari del loro territorio.

Il danno è un danno reale, non di immagine, quantificabile nel territorio sottratto agli ecosistemi come agli usi produttivi, nell’ovvio inquinamento determinato dall’esplosione di migliaia di ordigni ogni anno, nell’asservimento di un intero territorio a logiche di guerra che ne ipotecano qualsiasi ipotesi di sviluppo e, nel lungo termine, anche di sopravvivenza economica e demografica. Non si può pretendere che l’estate sia una parentesi nella quale le conseguenze di ciò che avviene d’inverno scompaiono senza lasciare traccia. D’altra parte, come dimostrano i fatti di questa estate, l’occupazione militare non va mai in vacanza.

Certo, si può e si deve rivendicare con orgoglio che Teulada non è un poligono militare, bensì un paese con una lunga storia, un territorio vasto e bellissimo che merita di essere vissuto, visitato e restituito nella sua integrità all’uso della comunità, ma per farlo occorre fronteggiare il problema causato dall’occupazione militare. Chiudere gli occhi e fingere che questo mostro non ci sia non lo farà certo sparire.

DOSSIER: STUDIARE LA LONGEVITÀ IN MEZZO AL DISASTRO

Come la propaganda militare tenta di usare la scienza contro la scienza nel Poligono Interforze del Salto di Quirra

Leggi e scarica il dossier


L’11 giugno 2024 si è inaugurato a Perdasdefogu un“Polo di ricerca scientifica e della salute in Ogliastra”, situato dentro le strutture del Poligono Interforze del Salto di Quirra (PISQ).

Un’iniziativa di questo tipo somiglia tanto a una provocazione, considerata la mole di evidenze aneddotiche e scientifiche inerenti i problemi ambientali e sanitari provocati dalle attività del Poligono che non hanno mai beneficiato di indagini scientifiche appropriate.
I problemi sollevati da questa iniziativa sono molteplici:

  • c’è una militarizzazione della ricerca scientifica, che comporta la creazione di conflitti di interessi legati alla provenienza di finanziamenti da parte della Difesa (che finanzia questo centro con mezzi propri, offrendo la sede).
  • c’è un problema connesso di etica della ricerca legato al cosiddetto “uso duale”: l’uso duale non è un qualcosa che riguarda solo i possibili usi militari di tecnologie ad uso civile (o viceversa), ma riguarda la struttura sociale e la pratica della scienza. Quando si fa ricerca in un contesto militarizzato, non si può pretendere di non considerare le finalità che l’autorità militare intende dare alla collaborazione, nascondendosi dietro alla “neutralità” della scienza o alla lontananza dei temi di ricerca dalle applicazioni militari. La domanda è: quale finalità assume la ricerca sulla longevità, fatta dentro il PISQ?
  • c’è un problema di inquinamento della narrazione pubblica del discorso scientifico. Il tentativo, in atto da diversi anni, è infatti quello di sostituire la narrazione sui danni della presenza militare del PISQ, con quella sulla longevità della popolazione ogliastrina.

In questo breve dossier sviluppiamo una serie di ragionamenti sull’operazione propagandistica che si è inteso fare con l’apertura di questo centro di ricerca, allargando il campo ad una serie di questioni inerenti il rapporto tra militarizzazione della società, ricerca scientifica e narrazioni con cui leggiamo e descriviamo il territorio in cui viviamo.

Perché lottare contro l’occupazione militare e per i diritti Queer?


Come nodo sassarese di A Foras aderiamo al Pride 2025. Di seguito riassumiamo il nostro contributo politico al Pride, che vuole collegare in maniera intersezionale la lotta per la liberazione della Sardegna dall’occupazione militare con quella per i diritti Queer.

  • La de-colonizzazione dei territori è inseparabile dalla de-colonizzazione dei corpi.
    Il militarismo è la cultura della violenza esercitata su corpi e territori per ottenerne il controllo. In Sardegna lo vediamo all’opera costantemente, con il 65% delle servitù militari presenti sul nostro territorio, distrutto a livello economico, sociale ed ambientale. Le armi che vanno a portare morte ad altri popoli vengono progettate, sperimentate e collaudate nei poligoni militari e nella fabbrica di bombe RWM.
  • L’ideologia militarista rappresenta una delle espressioni del sistema cis-etero patriarcale.
    In questo contesto, il sistema bellico è il braccio armato del patriarcato. I due sistemi sono co-dipendenti: senza il militarismo il patriarcato non potrebbe perpetrarsi, senza il patriarcato il militarismo perderebbe la sua ragion d’essere: quella di affermare tramite la violenza i confini di proprietà su terre e corpi.
  • Patriarcato e militarismo sono sistemi basati sulla differenza binaria tra maschile e femminile, e sulla sopraffazione di uno sull’altra, dove la scelta è essere o schiavo o padrone, o donna o uomo, o colonizzat* o colonizzatore.
  • Il militarismo ha radici culturali, uno dei suoi primi veicoli è la scuola che tende sempre più a trasformarsi in una “replica” di una caserma militare, dove si instaurano rapporti di potere basati sulla sopraffazione sulle minoranze e delle persone più deboli, annientando la libertà altrui e instillando nelle persone più giovani la cultura militarista.
  • Con la nuova corsa agli armamenti e il dilagare della cultura militarista stiamo andando verso nuovi conflitti. La storia ci ha insegnato che in tempo di guerra i diritti civili vengono meno, e quindi anche i diritti Queer sono da considerarsi a rischio.
    Per questo chiediamo a chi li ha a cuore e partecipa al Pride si schieri contro guerre e occupazione militare.

Attualmente in Europa la parola d’ordine è “riarmo”. Per contrastarlo serve estirpare queste radici, fare un lavoro mirato nei luoghi di istruzione, costruire nuove alternative di vita civile e sociale, dove il rapporto non si basi su gerarchie di stampo militaresco. Non vogliamo generali, non siamo arruolat* e non siamo arruolabili, partiamo dal margine per diventare centro, per riprenderci i nostri spazi, le nostre terre libere e liberate, anche e soprattutto dalla presenza materiale delle basi militari, le nostre vite libere e liberate dell’ideologia della guerra, del militarismo e del patriarcato.

+ (diritti) QUEER

(poligono di) QUIRRA

A Foras – Contra a s’ocupatzione militare de sa Sardigna

Nodo di Sassari

QUANTO COSTA LA GUERRA?

L’altro ieri, a quasi 20 giorni dalla conclusione dell’esercitazione interforze Joint Stars 2025, è stata resa pubblica dai giornali sardi la presenza di due ordigni inesplosi nelle acque fronte ai territori occupati dal Poligono Interforze del Salto di Quirra. La notizia proviene da due ordinanze della Capitaneria di porto di Arbatax, pubblicate rispettivamente il 30 maggio e il 3 giugno che fanno riferimento alla presenza di due missili a carica esplosiva, lanciati durante l’esercitazione Joints Star. Si tratterebbe di un STINGER e un ASTER30, rispettivamente a 100 e 600 metri di profondità, di cui il primo in linea con la spiaggia di Murtas, anche se distante dalla riva, e il secondo più al largo, secondo quanto comunicato nelle due ordinanze.

Il secondo di questi, l’ASTER30, come viene riportato dai giornali, appartiene al sistema di missili SampT, fornito dall’Europa all’Ucraina. Di fabbricazione italo-francese (Eurosam) ha un costo di 2.000.000 di euro per missile ed è stato recentemente oggetto di acquisto – si parla di circa 220 unità –, da parte di Regno Unito, Francia e Italia, nell’ambito del programma ReArm Europe, per un totale, stimiamo, di circa 440.000.000 di euro. Se 440.000.000 di euro ci sembrano molti, quanti sono gli 800 miliardi che l’Europa ha richiesto per il suo programma bellicista?

I costi della guerra sono tanti; in primis nei luoghi in cui la guerra viene importata, foraggiando l’industria bellica con le violenze compiute su corpi e territori.

A seguire nei luoghi dove lo Stato preferisce investire in armamenti più che in sanità, in armi più che nell’istruzione, dove la terra che poteva essere coltivata è resa incalpestabile a causa delle sperimentazioni, dove natura e ecosistemi, vita umana e non, diventano sacrificabili per il solo motivo di poter garantire la riproduzione di un sistema che da cinquecento anni opprime, sfrutta, violenta e uccide in tutto il mondo.

E così degli ordigni inesplosi nel nostro mare risultano solo un piccolo danno collaterale, non degno di essere reso noto.

Per lo Stato italiano la nostra salute e la nostra sicurezza, nostre e dei nostri territori, sono da sempre un piccolo danno collaterale, anche esso non degno di essere noto.

Vorrebbero una Sardegna vuota, alcun* già pensano sia così.

Ma si sbagliano.

Ci vediamo domani, 19 giugno, a Nuoro, ore 18, fronte Stazione dei treni.

In Pratza pro sa Palestina.

Per la Palestina, contro il genocidio, e contro la guerra.

Uniti e solidali a tutt* “i piccoli danni collaterali” del mondo.

COMUNICATO DEL CùLEZIU CONTRA A LA GHERRA SULLE CELEBRAZIONI PER LA BRIGATA SASSARI DEL PRIMO MARZO E LA MISSIONI UNIFIL IN LIBANO

La missione UNIFIL in Libano, a cui ha partecipato la Brigata Sassari, è una missione per il mantenimento della pace o a sostegno della guerra israeliana contro il Libano? La retorica e la propaganda sostengono la prima versione, ma non è esattamente così.

Sabato primo marzo si celebrano i 110 anni della Brigata Sassari e il suo ritorno dalla missione UNIFIL nel sud del Libano, composta da diversi eserciti occidentali sotto l’egida dell’ONU. Per numero e grado i principali eserciti presenti sono quello italiano e indonesiano. In particolare la Brigata Sassari (che ha appena concluso la sua missione di 6 mesi) era il gruppo più numeroso, con 1.200 soldati. Secondo il Ministero della Difesa, gli obiettivi di questa missione sono “monitorare la cessazione delle attività belliche, assistere alle attività delle forze armate libanesi, monitorare il rispetto della blue line, supportare la popolazione locale e effettuare operazioni di check point e pattugliamento”. Tuttavia, UNIFIL non è esattamente il mezzo per garantire la pace e il cessate il fuoco, come i media occidentali e la propaganda della Brigata Sassari ce la descrivono.

UNIFIL non è affatto un soggetto super partes, ma al contrario è spudoratamente dalla parte di Israele. In primis lo dimostra il fatto che tutti i suoi eserciti sono stanziati esclusivamente in territorio Libanese, che rappresenta la parte invasa da Israele, che al contrario non vede neanche un soldato sul suo territorio. Il suo vero ruolo è quello di collaborare con Israele, il cui rapporto è in certi casi visto dai libanesi come al limite della delazione. La missione non ha evitato la violazione del cessate il fuoco da parte di Israele, anche se sulla carta sarebbe il suo ruolo principale: non la ha evitata questo autunno, quanto si è vista bombardare i propri stessi avamposti e non la ha evitata il 23 febbraio. In quest’ultima occasione gli aerei da guerra F15 dell’IDF (Israel Defence Force) hanno prima bombardato la valle di Bekaa e dopo 15 minuti hanno sorvolato a bassa quota in segno provocatorio la folla presente al funerale di Hassan Nasrallah, leader di Hezbollah (dopo averne già minacciato il bombardamento).

Per dimostrare tutto ciò, vorremmo dare voce al popolo libanese, che quotidianamente subisce bombardamenti e soprusi dall’entità sionista, e che purtroppo non trova spazio nei media occidentali. Come sottolinea Nicoles Youness, ricercatrice libanese presso l’Università Libanese:

L’UNIFIL non è per il mantenimento della pace, contrariamente a quanto sembra (in realtà contribuisce a servire l’entità sionista). La missione UNIFIL in Libano è composta da oltre 10.000 soldati, di cui il contingente principale è quello italiano. Potrebbero effettivamente svolgere un ruolo importante nel prevenire la guerra, ma di fatto non lo fanno, attenendosi invece agli ordini dell’occupazione sionista. Di fatto il Libano meridionale era ed è ancora sotto occupazione sionista, e gli eserciti di UNIFIL sono funzionali al mantenimento di questa situazione.

È pur vero che UNIFIL svolge attività umanitaria, come distribuire cibo e beni di prima necessità ad alcune famiglie, ma allo stesso tempo raccoglie informazioni (foto, coordinate), che gira all’esercito di occupazione sionista. È infatti capitato che l’IDF bombardasse luoghi dei quali UNIFIL aveva fornito loro le coordinate. A riprova di ciò, Al Jazeera mostra le testimonianze di libanesi del sud che hanno visto personale UNIFIL riprendere i loro villaggi, alimentando la percezione che tali azioni equivalessero più a operazioni di spionaggio che a peacekeeping. Timur Göksel (un ex portavoce e consigliere senior dell’UNIFIL) conferma che le agenzie di intelligence sioniste hanno infiltrato i ranghi dell’UNIFIL, reclutando personale per agire come informatori. Tali rivelazioni, sebbene ampiamente riconosciute, non hanno mai portato a una seria indagine interna.

Israele ha bombardato non solo i villaggi e le città del Libano, ma ha anche gli stessi avamposti di UNIFIL, ordinando loro di evacuarli, cosa che hanno fatto senza esitazione con l’eccezione dell’esercito Irlandese.

La gente del sud del Libano ritiene che il ruolo dell’UNIFIL sia spesso limitato allo spionaggio per l’occupazione sionista e alla legittimazione delle violazioni dei diritti umani. Non è uno scherzo, non è una bugia, UNIFIL è una marionetta nelle mani degli occupanti sionisti. L’UNIFIL non è affatto neutrale, è una parte del conflitto, che aiuta e sostiene l’esercito di occupazione sionista. Anche questo è dimostrato.”


In conclusione vogliamo denunciare l’ipocrisia delle istituzioni che da una parte si schierano per la pace, come dimostra lo striscione presente in Prefettura (“Cessate il fuoco. Pace”), dall’altra celebrano i militari della Brigata Sassari come eroi, quando invece, come dimostra la testimonianza appena citata, questi, così come tutto il contingente UNIFIL, non sono altro che una forza funzionale al perpetrarsi di guerre e genocidi a opera di Israele.


Sassari, 01/03/2025. Cùleziu contra a la gherra.


Fonti:
https://www.youtube.com/watch?v=r2IjU5vrrnM
https://www.aa.com.tr/en/europe/ireland-rejects-israeli-armys-request-to-withdraw-peacekeepers-from-lebanese-border-media-report/3351967
https://www.youtube.com/watch?v=tV9WeicKjeU
Documentazione per immagini e video:
https://x.com/cbonneauimages/status/1890498056241504632/photo/3 (Yaroun, in Libano, l’IDF ha riempito 10 case di esplosivi sotto gli occhi dell’ONU. Più tardi in serata, le hanno fatte esplodere.)

Ma ite diàulu scias chìmicas! Su complotu est sa gherra!

Eris seru su chelu de sa Sardigna s’est prenadu de arrastos de condensatzione de is aèreos militares chi, che a semper, giogant a sa gherra partende dae sa base de Deximumannu.
Dae sa Barbàgia a Aristanis, dae s’Ogiastra a Casteddu, gente meda at bidu sa firma de s’ocupatzione militare in su chelu de sa Sardigna.
In sa retza gente meda at cumentadu luego chistionende de sa teoria de is scias chìmicas.
Comente chi in Sardigna non ddoe siat giai un’àteru complotu prus organizadu e làdinu: su de s’ocupatzione militare de sa Sardigna e su de ordimingiare sa gherra de sighidu, pro dda impreare comente àina de domìniu de is pòpulos e de is economias in is territòrios nostros e in totu su mundu.

Ispantat a lìgere un’artìculu de s’Unione Sarda chi, cun is fueddos de su Cumandante de s’Areonautica Militare pro sa Regione Autònoma de sa Sardigna, circat de “asseliare” chie ligit subra s’orìgine de is arrastos in su chelu, trunchende tando “ònnia ipòtesi complottista”.
Non nos lassat in assèliu a ischire chi dae Deximumannu, ònnia die, partint àereos militares de mesu mundu pro si esercitare in s’arte de sa morte e de sa distrutzione.
Su complotu est innoe e ddu podimus bìdere: su genocìdiu in Gaza, sa distrutzione in Yemen, is bombardamentos criminales de is potèntzias ocidentale in Oriente Mèdiu nàschint totus in domo nostra, subra is concas nostras.

Podet capitare chi custas provas generales pro is is matantzas chi ant a bènnere, pro “sa cunditzione climàtica de custas oras si podiant bìdere bene”, ma custu est su chi acuntesset ònnia die dae deghinas de annos in Sardigna.
Ma ite diàulu scias chìmicas! Su complotu est su decollu ambientale chi càusat s’aparatu militare e chi nos cuant in nòmene de sa “ragion di Stato”. Su complotu est su business as usual de unu sistema fundadu in is combustìbiles fòssiles chi devastat su clima terrèstre e si mantenet in pee cun is gherras pro isfrutare is risorsas de ollu de perda e de gas.

Su complotu est su dinare pùblicu leadu dae sa sanidade, dae s’istrutzione, dae servìtzios pro sa populatzione pro ddu donare a armas e ainas de morte.
Su complotu est sa realidade de is esercitatziones sena fine pro guvernare pòpulos e terras cun sa violèntzia de sa gherra, subra is concas nostras, subra su mare nostru, subra su sartu nostru. Dae 70 annos.
Su complotu est sa gherra, est su tempus de dda cuntrastare sena timoria.

ALTRO CHE SCIE CHIMICHE! IL VERO COMPLOTTO È LA GUERRA!

Ieri il cielo della Sardegna è stato invaso dalle scie di condensazione dei caccia militari che effettuavano i loro soliti giochi di guerra a partire dalla base aerea di Decimomannu.

Dalla Barbagia, all’Oristanese, all’Ogliastra al Cagliaritano, in tante persone hanno potuto vedere la firma dell’occupazione militare sui cieli della Sardegna.
Da tante testimonianze presenti in rete, si è visto tante persone riferirsi immediatamente alla teoria del complotto delle “scie chimiche”. Come se in terra sarda non ci fosse un complotto ben più organizzato ed evidente: quello dell’occupazione militare della Sardegna, e della preparazione permanente della guerra come strumento di dominio dei popoli e delle economie su scala regionale e globale.

Fa piuttosto specie leggere un articolo dell’Unione Sarda che, attraverso le parole del Comandante dell’Aeronautico Militare per la Regione Autonoma della Sardegna, punta a “rassicurare” i lettori sulla natura delle scie di condenza stampate sul cielo sardo “stroncando ogni ipotesi complottista”.
Non c’è nulla di rassicurante nel sapere che da Decimomannu, quotidianamente, ci alza in volo nei nostri cieli per addestrare le aviazioni di mezzo mondo nell’arte dell’assassinio e della distruzione aerea.

Il vero complotto è qui ed è sotto i nostri occhi: il genocidio di Gaza, la distruzione dello
Yemen, i bombardamenti criminali delle potenze occidentali in Medio Oriente, nascono tutti da noi, sopra le nostre teste. Può capitare che queste prove generali dei massacri futuri, per “la condizione climatica di queste ore sono risultate particolarmente visibili”, ma questo è quello che accade quotidianamente da decenni in Sardegna.

Altro che scie chimiche!
Il vero complotto sono i disastri ambientali causati dall’apparato militare e silenziati in nome della ragion di Stato.
Il vero complotto è il business as usual di un sistema fondato sui combustibili fossili che devasta il clima terrestre, e si mantiene con le continue guerre per il controllo delle risorse di petrolio e gas.
Il vero complotto sono i soldi pubblici dirottati dalla sanità, dall’istruzione, dai servizi alla
popolazione, verso armamenti e strumenti di morte.
Il vero complotto è la realtà dell’addestramento permanente a governare popoli e territori con la violenza della guerra, sulle nostre teste, nei nostri mari, nelle nostre campagne, da 70 anni a questa parte.

Il vero complotto è la guerra, è tempo di combatterlo a viso aperto.

A Foras!